(Rinnovabili.it) – Violazione della direttiva europea habitat; mancanza dell’alternativa e dell’opzione ø; progetto con troppe carenze; assenza di considerazione dei vincoli paesaggistici. Queste le quattro ragioni che hanno spinto Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF a presentare ricorso in Senato per l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri della costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche.
Un allarme che da Roma le associazioni sperano possa arrivare fino a Doha, dove è in corso la Conferenza Climatica organizzata dalle Nazioni Unite.
“Lo stop al carbone in Italia cominci da Saline Joniche insieme con l’assunzione di una seria politica ‘taglia-emissioni’ in grado di rispondere all’emergenza climatica, al centro del dibattito della COP18, il vertice internazionale sul Clima in corso a Doha, in Qatar, fino al 7 dicembre” hanno dichiarato le associazioni.
Il sì del Consiglio dei Ministri alla costruzione della centrale non tiene in considerazione la volontà di chi quel territorio lo abita e lo vive ogni giorno, e va anche oltre il Piano energetico della Calabria nel quale è stato espressamente dichiarato il no alla costruzione di progetti a carbone sul territorio puntando ad un mix energetico che integri le rinnovabili e i sistemi di efficientamento energetico.
Un tale impianto andrebbe infatti a deturpare non solo il paesaggio ma anche a minare le eccellenze ambientali, naturalistiche e culturali di tutta l’area interessata dalla nuova costruzione, di alta valenza turistica e di enorme pregio paesaggistico e territoriale.
Un impianto, quello di Saline Joniche, che ogni anno immetterebbe nell’atmosfera 7,5 milioni di tonnellate di CO2 insieme a numerose altre sostanze tossiche. Il via libera alla costruzione è osteggiato anche oltralpe, dove ha sede la Repower, società che partecipa alla realizzazione del progetto e che ha apertamente dichiarato che non costruirebbe mai un simile impianto nella sua Svizzera.
I PERICOLI DELL’IMPIANTO La centrale di Saline, alla quale dovrebbe essere affiancato un impianto di cattura e stoccaggio della CO2 dovrebbe però sorgere in un territorio dove il confinamento geologico del gas non è praticabile.
Danni alla salute umana, alla natura e anche agli ecosistemi marini devasterebbero un territorio dai delicati equilibri ambientali andando a minacciare nell’Area Grecanica e della Costa Viola ben 18 aree vincolate (secondo il Ministero dei Beni Culturali), di cui ben 5 Siti di Importanza Comunitaria, in pieno contrasto con la direttiva europea Habitat.
E alle critiche delle 4 Associazioni si aggiungono quelle di Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd: “E’ chiaro che nel Paese, oggi, ci sono più impianti energetici convenzionali di quelli che servono, impianti che vanno selezionati in base al loro impatto sull’ambiente e sulla salute dei cittadini. Ma nel futuro energetico dell’Italia non c’è più spazio per il carbone. Al contrario, il futuro energetico sono le fonti rinnovabili e il risparmio energetico”.