(Rinnovabili.it) – Il ciclo di vita del caffè ha da tempo trovato intelligenti escamotage per rinnovarsi. Dopo aver visto riutilizzare i fondi dell’espresso per produrre compost, biocarburanti per auto, eco-inchiostri per stampanti o tessuti sportivi, il mondo della ricerca apre le porte ad un nuovo utilizzo.
Arriva dai laboratori del City College di New York un nuovo studio che sta valutando l’impiego del caffè come filtro per il solfuro di idrogeno. Questo composto è considerato un veleno ad ampio spettro, vale a dire in grado di danneggiare differenti sistemi del corpo, producendo danni all’olfatto, vista e apparato respiratorio. La dottoressa Teresa Bandosz, professore di chimica e ingegneria chimica al CCNY, sta sviluppando e testando una nuova tipologia di filtri a base di “carbone attivo”; ma differenza di quelli già impiegati finora negli impianti industriali o in quelli di controllo dell’inquinamento, il dispositivo realizzato dalla ricercatrice statunitense sfrutta la molecola a cui la “bevanda nera” deve le sue proprietà energizzanti, ossia la 1,3,7-trimetilxantina meglio nota come caffeina. Questo alcaloide naturale presente nelle piante di caffè, così come in quelle di cacao o tè, contiene azoto che aumenta l’attività del carbonio attivo di filtrare lo zolfo attraverso un processo chiamato adsorbimento. Per rendere più reattivo alle tossine il carbonio solitamente vengono impiegate sostanze ricche in azoto, come l’ammonica, la melammina o l’urea, andando però ad aumentare sensibilmente i costi del processo.
Per ottenere il nuovo filtro, i ricercatori si sono limitati ad impiegare vecchi fondi di caffè, impastandoli con acqua e cloruro di zinco, una sostanza chimica “attivatrice”. La squadra ha poi essiccato e cotto la miscela a temperature fino a 800 gradi Celsius. Le cialde di carbonio risultanti contengono una molteplicità di piccoli fori rivestiti azoto, perfetti per la cattura del solfuro di idrogeno.