Faccio subito una premessa: sono ghiottissima di gelato, l’unico dolce davanti a cui non ho ritegno e che fa naufragare ogni mio impegno dietetico. Ma non mi accontento, ho imparato a riconoscere un prodotto di qualità. Dopo aver incontrato Günther Rohregger ogni tanto vado nella sua gelateria a concedermi un momento di piacere puro. Tanto per dare un’idea, l’unico gusto che ho sempre detestato è il cioccolato: Günther mi ha convinto ad assaggiarlo, il suo gelato al cioccolato Domori è stupefacente, un superfondente intenso a cui non si può rinunciare. Ma mi sono avventurata anche in gusti imprevedibili, come il pinzimonio (fantastico, uno alla volta si sprigionano tutti i sapori), pepe rosa, pomodoro e basilico. Ero restia davanti al pino mugo, pensando di mangiare qualcosa di simile alle caramelle per la gola: errore, ha un gusto delicatissimo, chiudi gli occhi e ti senti in un bosco di montagna. Il prezzo di tanta squisitezza è superiore a quello di altre gelaterie, ma resto sempre più convinta che è meglio un gelato in meno, ma che sia indimenticabile… Provare per credere!
Come risponde il pubblico alle innovazioni di Günther Rohregger? Tra le sue proposte si va dal pino mugo al pepe rosa, per arrivare al pinzimonio e al pomodoro e basilico.
La clientela in generale è affezionata ai gusti più “consueti”. I più gettonati sono fragola, nocciola e pistacchio; di fronte alle novità qualcuno osa, ma la maggioranza rimane tradizionale. Quelli che si intendono di cibo vengono da me perché sanno che trovano qualcosa di particolare.
Come nascono i suoi gelati? Dalla qualità del prodotto finito posso intuire un’estrema attenzione nella scelta della materia prima.
Come in tutti i cibi, la materia prima è fondamentale e facciamo una selezione molto accurata. Ad esempio usiamo solo frutta fresca, latte bio microfiltrato (in Italia c’è una sola azienda che lo produce, èPiù. Questo latte di altissima qualità proviene da allevamenti biologici italiani controllati e certificati, nel rispetto del benessere animale e di un’alimentazione fondata sull’utilizzo di erba, fieno e cereali coltivati senza l’utilizzo di organismi geneticamente modificati e di prodotti chimici); per i sorbetti usiamo solo l’Acqua Plose, una delle più pure e leggere al mondo che proviene dalle Dolomiti. Per il gusto al pino mugo utilizziamo solo olio essenziale di pino mugo della Distilleria Bergila (che raccoglie gli ingredienti da colture biologiche ad alta quota) distillato con l’alambicco in corrente di vapore, sistema che ne garantisce la purezza 100%. L’olio essenziale di menta è dell’azienda agricola Essenzialmenta di Pancalieri (capitale mondiale della coltivazione della menta). Quella di Agrimontana (azienda leader di qualità nella trasformazione della frutta che trasforma solo frutta italiana, senza additivi, coloranti o aromi, valorizzando così la materia prima al meglio) è l’unica frutta lavorata che entra nei nostri gelati.
Quanto è importante la stagionalità nei gelati o nei sorbetti di frutta? D’estate niente mandarini e d’inverno niente fragole-mostro?
Oltre a privilegiare per principio i prodotti di stagione, va detto che fuori stagione i sapori sono un po’ annacquati, quindi il risultato non è soddisfacente. Le fragole, ad esempio, ormai si trovano tutto l’anno: ma noi usiamo solo quelle italiane. Il giorno dopo la raccolta sono già al limite, due giorni dopo non sono più buone. Le fragole-mostro, come le definisce lei, che sono sui banchi a dicembre arrivano dal Perù. Come fanno a sopportare un viaggio così lungo? Per farle arrivare “in forma” da un altro continente quali conservanti contengono?
L’Italia è piuttosto avanti sui controlli alimentari rispetto ad altri Paesi.
Certo, ma altrove non è così. In alcuni Paesi basta dichiarare che un prodotto non contiene conservanti né pesticidi e può essere esportato senza passare alcun controllo. Il problema purtroppo può esistere anche in arrivo, se alla dogana si chiude un occhio per non perdere tempo. Per questo è indispensabile instaurare un rapporto di fiducia con i fornitori.
Lei non usa i grassi idrogenati, che fanno “lievitare” i gelati come mongolfiere.
I grassi che usiamo sono solo quelli contenuti nel latte e nella panna, al massimo nei gusti “da pasticceria” ci può essere del burro, e in qualche gusto un po’ di burro di cacao, che è uno dei grassi più cari che esistono. Oppure l’olio, in gusti particolari come il pinzimonio. Non ci sono mono e digliceridi degli acidi grassi (additivi con funzione stabilizzante ed emulsionante, principalmente di origine vegetale, ndr) né altri grassi raffinati.
L’impiego di materie prime di alta qualità ha costi più elevati. In che percentuale aumenta il prezzo finale?
Il costo della materia prima aumenta di circa il 20%. Dipende anche dal gusto: ad esempio il gelato al cioccolato Domori (il cui costo si aggira intorno ai 180 euro al chilo) è un prodotto straordinario che non lavoro tutto l’anno, ma solo in occasioni particolari. Se si prende un cioccolato comune – in alcune gelaterie usano anche il cacao in polvere industriale – un gelato fondente semplice può costare di materia prima circa 1,50-2 euro. Il nostro costa 11 euro solo di materia prima, è fatto con pura massa di cacao di Domori rinforzato con un blend di cacao Domori per dargli un tocco in più: non è il cacao in polvere quello che lo caratterizza, è la massa, che costa tantissimo. Sul fiordilattte non c’è una differenza così enorme, se non quella delle materie prime: conosco molti colleghi che lavorano solo il latte in polvere. Un litro di latte in polvere costa 20 centesimi al litro, il bio microfiltrato costa 1,70 euro al litro.
Però la differenza si sente.
Indubbiamente. Prendiamo l’acqua: quella del rubinetto è quasi gratis, un litro costa pochi centesimi; l’Acqua Plose costa 90 centesimi al litro, ma per noi la purezza di questa materia prima è molto importante. È inutile usare la frutta fresca se poi la mescoliamo con un’acqua piena di calcare.
Ma la gente che viene da lei capisce e apprezza i suoi gelati o li considera uguali agli altri?
Ci sono clienti che l’apprezzano tanto, ma sono quelli che comunque capiscono il cibo. È un fatto di educazione: se i genitori crescono i figli con hamburger e patatine, questi non saranno in grado di riconoscere la differenza di sapore o addirittura preferiranno il gelato del fast food perché è il sapore che riconoscono, al quale sono abituati. Invece i genitori che sanno mangiare bene, che abituano i figli fin da piccoli a un’alimentazione sana ed equilibrata e ad assaggiare tutto, li mettono in condizione di capire che qui c’è un sapore, l’altro è solo cremoso. L’industria ha studiato come reagisce il palato ed elabora prodotti con la dolcezza giusta, l’amaro giusto, l’acidità giusta: magari il sapore finale è pure gradevole, ma la salute è un’altra cosa. Il nostro fornitore fa una crema di gianduia che è amara: puoi mangiarne anche cento grammi e dopo ti senti perfetto. Anche qui torniamo alla questione prezzo: una crema industriale si può trovare a 7-8 euro al chilo, quella artigianale con cioccolato e nocciola non può costare meno di 20-25 euro.
È soddisfatto delle scelte fatte? La strada è più in salita, ma fidelizzare un certo tipo di clientela è una soddisfazione non scontata.
All’inizio c’era un’aspettativa più grande, poi abbiamo visto che selezionavamo bene i nostri clienti. Non è una strada così veloce, ma sicuramente ci porta molto lontano.
Se posso permettermi un consiglio da consumatore le dico che, facendo un prodotto di eccellenza, deve sapersi fermare: quando il lavoro ingrana c’è la spinta ad aumentare la quantità, ma la qualità non sarà più la stessa. E poi, allargandosi tanto, la materia prima non cambia?
Guardi, si può fare tutto. Ma sa qual è la grande differenza tra noi e altre realtà italiane che hanno scelto di sbarcare perfino all’estero? Ancora una volta il prezzo. Altri vendono a 20 euro al chilo, noi a 27. In quei 7 euro c’è la materia prima di qualità: il guadagno finale è lo stesso, ma noi investiamo la differenza in materie prime di qualità. È un po’ il discorso dei grandi chef, che fanno cose spettacolari con materie prime eccellenti: per tutto il resto c’è una corsa al ribasso del prezzo. E se abbassi il prezzo, dove puoi risparmiare? Sul personale e sulla materia prima.
Parlando di ristorazione di fascia alta con materie prime selezionate, nel prezzo sono comprese anche la creatività, l’idea, la testa. Cose che non hanno prezzo.
Il problema è che venti lo sanno fare e gli altri copiano: non sono capaci, ma vogliono fare la stessa cosa. Le racconto una cosa: quando abbiamo aperto sei anni fa eravamo l’unica gelateria di qualità nel centro e vendevamo il cono piccolo a 2,50 euro. Dopo poco tutti vendevano allo stesso prezzo, ma la qualità del gelato era tutta un’altra cosa. Oggi abbiamo aumentato a 3 euro e gli altri pure, ma non hanno migliorato la qualità. È quella la cosa sbagliata. Il successo nella ristorazione dipende molto anche da com’è il locale, da come si lavora: allora i clienti sono disposti a spendere anche cifre importanti per piatti ricercati e per vini particolari. Nella gelateria le cifre sono diverse, magari si varia di 50 centesimi in più o in meno. Quando noi aumentiamo facciamo un piacere agli altri, che alzano il prezzo continuando a usare materie prime scadenti.
Ma voi siete sicuramente amati da chi apprezza l’eccellenza. C’è stata una buona risposta di pubblico a questo suo progetto di valore?
A me piace sentire dai fornitori quali sono le tendenze del mercato, anche per capire quanto incide il nostro lavoro di qualità rispetto ad altri che non lo fanno. Tranne una gelateria che sta mantenendo costante il livello di vendite, tutti gli altri si lamentano di una flessione. Noi quest’anno abbiamo fatto un 15% in più: quindi i risultati ci sono. Bisogna essere pazienti: il risultato che mi aspettavo tre anni fa arriva adesso, evidentemente la strada è più in salita ma la qualità paga.