Addio accordo globale sul clima. Addio politiche energetiche sostenibili. Se entrerà in vigore, il TiSA lascerà gli Stati in balìa degli interessi delle multinazionali
(Rinnovabili.it) – Greenpeace Olanda ha ottenuto e rilasciato una nuova serie di documenti segreti relativi al TiSA, l’Accordo sul Commercio dei Servizi che proprio oggi i 50 paesi membri si apprestano a discutere a Ginevra in un nuovo round negoziale, ovviamente a porte chiuse. Dall’analisi del leak – affidata a diverse Ong tra cui Global Justice Now e Public Services International – viene confermato il rischio di un passo indietro epocale su temi come ambiente e energia. I documenti contengono una serie di misure che smontano qualsiasi impegno a livello globale sui cambiamenti climatici (in primis l’accordo di Parigi dello scorso dicembre) e danno nuova linfa alle energie fossili.
Cos’è il TiSA?
Il TiSA, al pari del più conosciuto TTIP, è un accordo internazionale sul commercio. Punta alla liberalizzazione dei servizi, cioè alla deregolamentazione, e coinvolge tra gli altri tutti i paesi dell’Ue e gli Usa. In totale i cittadini interessati sono 2,1 miliardi. Se entrasse in vigore, questo trattato riguarderebbe il 70% dell’economia globale. Il gigantesco e variegato settore dei servizi vale infatti il 75% del Pil europeo e l’80% di quello statunitense. Con il TiSA in vigore le grandi imprese avrebbero carta bianca per entrare senza più barriere nei servizi pubblici e privati dei Paesi contraenti. Infatti ai sensi del TiSA ogni regolamentazione equivale a una barriera al commercio.
Questo significa che l’accordo avrà conseguenze importanti anche su temi e settori che poco hanno a che vedere con il commercio, ad esempio i diritti dei lavoratori, le regole del settore bancario, la neutralità della rete, la privacy e lo status di quei servizi come l’energia elettrica e l’acqua – che potrebbero venire orientati definitivamente al profitto invece che al benessere dei cittadini.
La fine delle politiche energetiche sostenibili
Nelle mani di Greenpeace Olanda è finito, tra gli altri, l’Annesso su “Energia e Servizi legati alle Attività Estrattive”. Il testo suggerisce che l’accordo applica semplicemente a “misure che riguardano il commercio di energia e servizi legati all’estrazione”, che includono servizi forniti a “persone giuridiche impegnate in esplorazione, sviluppo, produzione, trasmissione, stoccaggio o distribuzione di energia o di risorse energetiche”. In altri termini, la deregolamentazione è estesa anche alle energie fossili, quindi ad esempio all’estrazione di idrocarburi. In questo modo, per uno Stato diventa più difficile opporsi allo sfruttamento di queste fonti di energia, e allo stesso tempo avrà meno margini di manovra per politiche a vantaggio delle energie pulite.
Cosa significa? In concreto, se uno Stato promuove politiche in linea con gli impegni presi alla COP21 di Parigi, un altro Stato membro può contestare la sua decisione. Il caso passa a un panel in seno al TiSA, dove la nuova legge deve passare il cosiddetto “test di necessità”: chi l’ha proposta deve cioè dimostrare che è una norma necessaria, ovvero che non si tratta di una “restrizione al commercio dei servizi mascherata”. È chiaro che sia un punto difficile da dimostrare, se l’unica domanda cui bisogna rispondere è: «questa norma crea ostacoli al libero mercato?». Si tratta di un approccio simile a quello già in vigore nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Per immaginare come andranno a finire i casi contestati basta dare un’occhiata ai precedenti. Su 44 casi deferiti all’arbitrato del WTO, solo 1 ha passato il test di necessità.
L’UE ipocrita sull’efficienza energetica
In base ai documenti trapelati, emerge poi che l’UE ha proposto di includere nel TiSA anche i servizi legati all’efficienza energetica, mentre Australia, Islanda e Norvegia starebbero ancora valutando questa possibilità. Anche in questo caso si va in direzione di un indebolimento delle politiche energetiche sostenibili. La definizione contenuta nella bozza dell’Accordo, infatti, fa riferimento soltanto a un generico “limitare la crescita del consumo energetico”: una dicitura in realtà ambigua, aperta alle interpretazioni perché non specificata in dettaglio. In altri termini, è un capitolo che tutela molto meno della Direttiva UE sull’efficienza energetica del 2012. Cioè l’ennesimo passo indietro.
Impossibile rispettare l’accordo sul clima di Parigi
Inoltre il TiSA è un accordo di carattere vincolante, al contrario di quello di Parigi. Perciò i trattati commerciali avranno sempre priorità giuridica sulle politiche ambientali. Già nel maggio scorso il precedente leak aveva lasciato intuire che si sarebbe andati in direzione dello svuotamento delle politiche energetiche sostenibili. Grazie ad alcuni accorgimenti come l’introduzione della «technological neutrality», principio in base al quale tutte le fonti energetiche dovranno essere trattate con lo stesso riguardo. Gli Stati non potranno più, ad esempio, privilegiare il fotovoltaico rispetto al petrolio o l’eolico al carbone. Diventa di fatto difficilissimo impostare un percorso per il phase out delle fossili.
Infatti altre clausole del TiSA ingabbiano gli Stati e impediscono di sviluppare politiche sostenibili, sotto la spada di Damocle del “non danneggiare il libero commercio”, il vero imperativo categorico del TiSA come degli altri trattati internazionali attualmente in discussione, dal TTIP al CETA. Due clausole in particolare destano preoccupazione. La prima è la “ratchet clause”, che impedisce la reintroduzione di qualsiasi tipo di barriera commerciale: peccato che qualsiasi norma volta a tutelare cittadini e consumatori può tranquillamente essere denunciata come una distorsione del mercato ai sensi del TiSA. E poi la seconda, la “standstill clause”, che completa e integra la prima vietando agli Stati di introdurre nuove regole che limitino l’accesso al mercato dei servizi.