(Rinnovabili.it) – La battaglia tra Greenpeace e lo “Sblocca Trivelle” (definizione data dagli ambientalisti al decreto 133/2014 o Sblocca-Italia) sta vivendo un nuovo capitolo. Da stamattina gli attivisti dell’associazione hanno occupato la piattaforma estrattiva Prezioso dell’Eni, tra Scilla e Cariddi, per protestare contro le trivellazioni in Sicilia. Con l’appoggio della nave Rainbow Warrior, a bordo di gommoni, una decina di persone ha scalato la piattaforma e, una volta in cima, ha aperto uno striscione di 120 metri quadri. Vi campeggia il volto del presidente del Consiglio Matteo Renzi e, sotto, una scritta che recita “Più trivelle per tutti”. Lo slogan di Greenpeace “Stop fossil, go renewable” completa il messaggio.
Il timore delle associazioni che difendono l’ambiente nel nostro Paese è che, con le misure in discussione a Montecitorio, si dia il via libera a una deregolamentazione selvaggia delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare. Greenpeace definisce «scarse» le riserve di oro nero del Mediterraneo, e proprio non ci sta a digerire la decisione italiana. «Potendo contare sulla presidenza di turno del Consiglio Ue – si legge in una nota – il nostro Paese dovrebbe essere impegnato a guidare l’Unione verso obiettivi più ambiziosi di difesa del clima, puntando con decisione su fonti rinnovabili ed efficienza energetica e consegnando al passato le fonti fossili».
Le preoccupazioni più grandi derivano dall’intenzione dell’Eni di costruire una seconda piattaforma, non lontano dalla Prezioso, con due pozzi estrattivi, sei pozzi di produzione e i relativi oleodotti. Le distanze dalla costa previste dovrebbero aggirarsi sui 20 km, ma il progetto “Offshore Ibleo” ha già ottenuto una valutazione di impatto ambientale positiva. Neanche a dirlo, è già partito un ricorso al Tar del Lazio firmato proprio da Greenpeace insieme a 5 amministrazioni contrarie. Si contesta una VIA «fortemente lacunosa e approssimativa», dato che per il rischio di “incidente rilevante” «deve essere ancora definito uno scenario che valuti i danni e la possibilità di riparare a tali danni, che identifichi le misure di mitigazione e compensazione e quantifichi i costi per gli interventi».
Inoltre, gli attivisti sostengono che secondo le valutazioni del ministero dello Sviluppo economico i nostri fondali marini custodirebbero riserve certe di petrolio pari a circa 10 milioni di tonnellate: «Una quantità che basterebbe, stando ai consumi attuali, per 8 settimane appena», dichiara Greenpeace. Vale la pena di rischiare infrazioni europee, si chiedono gli ambientalisti, con una deregulation che infrange due direttive?