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Il grattacielo galleggiante che ripulisce gli oceani dai rifiuti e produce energia

grattacielo galleggiante
La torre galleggiante progettata da Honglin-Li

Il grattacielo galleggiante FILTRATION di Honglin-Li ha ricevuto la menzione d’onore tra i progetti più innovativi del premio Evolo 2019

 

(Rinnovabili.it) – Un grattacielo galleggiante in mezzo al mare per ripulire l’ottavo continente: la grande macchia d’immondizia del Pacifico (Great Pacific Garbage Patch). L’idea è dello studente in architettura americano Honglin-Li che ha progettato una sorta di torre modulare dotata di diversi sistemi di riciclo e depurazione delle acque capace di smaltire tonnellate di plastica e rifiuti dal mare e contemporaneamente produrre l’energia necessaria ad autoalimentarsi.

 

Il progetto, chiamato “FILTRATION skyscraper”, ha ricevuto la menzione d’onore nella competizione per i grattacieli più innovativi Evolo 2019: si compone di una torre portante posizionata al centro di una piattaforma galleggiante. Al nucleo centrale possono essere collegati in maniera modulare sistemi di trattamento delle acque, di smaltimenti dei rifiuti, di conversione degli scarti in energia termica ed elettrica (termovalorizzazione). Il grattacielo galleggiante pomperebbe l’acqua del mare indirizzandola verso i diversi sistemi di filtraggio per poi reimmetterla nell’oceano completamente depurata.

 

Honglin-Li sostiene che il grattacielo galleggiante possa essere costruito anche a partire dagli scheletri di piattaforme petrolifere abbandonate in mezzo al mare: secondo le ricerche dell’intraprendente studente americano, sarebbero 2.978 le strutture di trivellazioni offshore potenzialmente convertibili in sistemi di depurazione delle acque, di cui almeno 4 sarebbero collocate in punti strategicamente vicini alla Great Pacific Garbage Patch.

 

grattacielo galleggiante impianti
Gli impianti posizionatili nella torre progettata da Honglin-Li

 

La Grande macchia d’immondiazia del Pacifico è un enorme massa galleggiante di rifiuti che si sposta tra le coste del Nord America fino al Giappone trasportata dalle correnti oceaniche: secondo alcune stime, la Great Pacific Garbage Patch ricoprirebbe l’8,1% dell’intero Oceano Pacifico, un’area estesa due volte lo Stato del Texas e 3 volte la California. In alcuni punti, lo spessore dell’isola d’immondizia arriverebbe persino oltre i 30 metri.

 

La macchia di rifiuti formatasi nel Pacifico, inoltre, non è l’unica: diversi studi hanno dimostrato la formazione di simili accumuli di rifiuti anche nell’Oceano Atlantico, in quello Indiano e persino in specchi d’acqua più piccoli e caratterizzati da correnti locali come quello il Mare del Nord, anche se di dimensioni più ridotte rispetto a quelli galleggianti nel Pacifico.

 

La soluzione proposta da Honglin-Li, seppur avveniristica, potrebbe rappresentare un buon compromesso tra la necessità di ripulire il mare (in cui l’Agenzia europea per l’Ambiente stima che finiscano oltre 8 milioni di tonnellate di plastica ogni anno) e le difficoltà tecniche di raccolta dei rifiuti oltre a quelle relative all’approvvigionamento energetico di impianti in mare aperto.

 

Solo poche settimane fa, una spedizione dell’Ocean Voyages Institute ha recuperato 40 tonnellate di detriti dalla Great Pacific Garbage Patch (in 25 giorni di navigazione) sfruttando un’innovativa tecnica di tracciamento basata sull’utilizzo di droni e immagini satellitari. Piccoli (e tecnologici) passi in avanti per liberare gli oceani dalle migliaia di tonnellate di plastica e rifiuti che li soffocano.

 

>>Leggi anche Soluzioni all’inquinamento plastica: Ocean Cleanup non si arrende <<

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