Appena il 37% dei grandi fiumi oltre i 1.000 chilometri non presenta interruzioni dovute all’azione dell’uomo
(Rinnovabili.it) – Solo 1/3 dei grandi fiumi (più lunghi di 1.000 chilometri) scorrono liberi da dighe e bacini artificiali: a lanciare l’allarme è uno studio scientifico pubblicato sulla rivista Nature e realizzato dalla McGill University del Quebec in collaborazione con il WWF.
Si tratta della più completa mappatura della rete fluviale mondiale mai realizzata: sfruttando dati e immagini satellitari, il team di studiosi, composto da 34 ricercatori provenienti da tutto il mondo, ha mappato oltre 12 milioni di chilometri di corsi fluviali: appena il 37% dei fiumi più lunghi di 1.000 chilometri scorre libero per tutto il proprio corso, mentre solo il 23% arriva senza ostacoli a sfociare negl’oceani. Al contrario, il 97% dei fiumi al di sotto dei 100 chilometri di lunghezza resta praticamente libero da ostacoli e restrizioni imposte dalla mano dell’uomo.
Una situazione che pone a serio rischio popolazioni ed ecosistemi interconnessi al corso dei grandi fiumi: come sottolineano gli scienziati canadesi, il libero flusso delle grandi arterie di acqua dolce è essenziale per l’approvvigionamento di cibo di migliaia di comunità locali, beneficia l’agricoltura grazie al trasporto di sedimenti che rendono fertili i terreni, previene l’impatto di inondazioni e di periodi di siccità oltre a garantire la biodiversità delle specie animali e vegetali che vi dimorano.
L’Europa registra la percentuale più bassa di lunghi fiumi liberi da ostacoli artificiali, appena il 12%, seguita dal Nord America (25%) e dall’Asia (33%); migliore la situazione in Africa (47% dei fiumi oltre 1.000 chilometri liberi), Sud America (51%) e Australia (60%).
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La maggior parte dei fiumi più lunghi di 1.000 chilometri ancora liberi da deviazioni e infrastrutture realizzate dall’uomo sono quelli che scorrono in regioni remote come le aree artiche del Canada, parte della foresta amazzonica e del bacino del Congo: uniche rilevanti eccezioni di corsi oltre i 1.000 chilometri d’estensione ancora liberi sebbene situati in zone densamente popolate sono i fiumi Saluen (2.815 hm) e Irrawaddy (2210 km), entrambi a cavallo tra Tibet e Birmania.
Dighe e bacini idrici artificiali sono le infrastrutture più spesso realizzate sui lunghi corsi fluviali secondo lo studio della McGill University, ma anche il prelievo d’acqua dolce e l’accumulo di sedimenti negli estuari vanno considerati fattori che danneggiano il libero flusso dei fiumi. Le immagini satellitari collezionate hanno portato alla stima di circa 60 mila grandi dighe realizzate sui corsi d’acqua, con altre 3.700 in fase di progettazione o costruzione. Secondo un recente rapporto del gruppo ambientalista Save the Blue Heart of Europe, nella sola regione orientale dei Balcani sarebbero in arrivo circa 3 mila dighe.
Il report sottolinea come le nuove tecnologie di costruzione potrebbero presto portare le compagnie energetiche a realizzare impianti idroelettrici su fiumi finora mai presi in considerazione perché in regioni con clima e condizioni estreme: nel bacino amazzonico, ad esempio, è attualmente al vaglio un piano di sfruttamento idrico che prevede la costruzione di quasi 500 nuove dighe, una prospettiva che muterebbe irreversibilmente l’ecosistema locale.
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