I settori più incontaminati del reef sono tra i più colpiti dallo sbiancamento dei coralli. Cresce l'attesa per la decisione dell'Unesco sull'inserire la Barriera nella lista dei siti in pericolo
(Rinnovabili.it) – La Grande Barriera Corallina nel 2016 ha patito la più vasta morìa di coralli della sua storia. Nella sua parte settentrionale, una striscia lunga oltre 700 km sulla costa nord dell’Australia, lo sbiancamento causato dalle temperature elevatissime dell’oceano ha ucciso almeno il 67% dei coralli. L’ennesima conferma dello stato disastroso della barriera arriva dall’Arc Centre of Excellence Coral Reef Studies, che ha pubblicato oggi i risultati del suo monitoraggio sul campo a 2 giorni dall’appuntamento all’UNESCO. Il 1 dicembre infatti il governo australiano dovrà consegnare all’Agenzia delle Nazioni Unite il suo report sulla Grande Barriera: è più che probabile che questa volta sarà inserita nella lista dei siti “a rischio”.
L’Australia ha esercitato pressioni già lo scorso maggio per evitare il giudizio dell’UNESCO, perché teme le ricadute negative sul turismo (un giro d’affari di 5 miliardi di dollari). Così nell’ultima sessione aveva semplicemente tolto dal suo rapporto sulle sue politiche di conservazione ambientale ogni riferimento alla barriera. Da allora sono passati 4 mesi, il fenomeno climatico El Nino è finito e sono stati pubblicati molti studi sulla condizione della barriera: difficile, oggi, negare che si tratti di un disastro naturale di proporzioni enormi.
“La maggior parte delle perdite nel 2016 sono avvenute nella parte più settentrionale della Grande Barriera, che è anche la più incontaminata – afferma il professor Terry Hughes, direttore dell’Arc Centre – Questa regione era scampata con danni minori ai due sbiancamenti avvenuti nel 1998 e nel 2002”.