Circa 1/3 delle foreste tropicali abbattute erano le cosiddette foreste primarie ovvero quelle più antiche
(Rinnovabili.it) – Nel 2018 sono andati persi 12 milioni di ettari di foreste tropicali, un’area pari a quella della Gran Bretagna: ad affermarlo sono i dati contenuti nell’ultimo report del Global Forest Watch, un gruppo di ricerca internazionale che sfrutta dati satellitari per monitorare lo stato di salute delle foreste in tutto il mondo.
Si tratta del quarto peggior dato dal 2001,anno in cui i ricercatori hanno iniziato a utilizzare dati satellitari per osservare la deforestazione: a preoccupare è soprattutto lo stato delle foreste tropicali primarie,ovvero quelle più “vecchie”, di cui, nel 2018, sono andati persi 3,6 milioni di ettariovvero un’area pari a quella del Belgio.
Secondo i dati del World Resource Institute, su cui il Global Forest Watch ha basato il proprio report, le foreste assorbono circa il 30% delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo, pari a circa 11 miliardi di tonnellate annue. Le foreste tropicali primarie hanno maggiori capacità di assorbire CO2e rappresentano habitat insostituibili per molteplici forme di vita.
La superficie di foreste tropicali primarie persa lo scorso anno è seconda solo a quella registrata nel 2016 e nel 2017 quando toccò livelli record a causa di una serie d’incendi.
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Il Brasile resta il Paese con la maggior quantità di foresta primaria persa(oltre 1,3 milioni di ettari), seguito dalla Repubblica Democratica del Congo (481 mila ettari) e dall’Indonesia (339 mila ettari). Nel 2002, Brasile e Indonesia rappresentavano il 71% delle foreste tropicali abbattute, mentre ad oggi raggiungono “solo” il 46%: molti altri Paesi, infatti, stanno aumentando i tassi di deforestazione (il Ghana, ad esempio, nel 2018 ha abbattuto il 60% di foreste tropicali in più rispetto al 2017, la Costa d’Avorio e Papua Nuova Guinea rispettivamente il 26% e il 22%).
Relativamente positivo il dato sull’Indonesia: la perdita di foresta originaria nel 2018 è risultata del 40% inferiore alla media nel periodo 2002 – 2016 e nel complesso, il dato sulla deforestazione lo scorso anno è il più basso dal 2003. Merito di politiche di tutela che hanno anche riscontri economici: lo scorso febbraio, il Governo norvegese ha annunciato che elargirà una compensazione economica all’Indonesia per il suo impegno nel ridurre la deforestazione nell’ambito di una partnership siglata dai due Paesi nel 2010.
Discorso inverso per il Brasile che ha registrato un dato di deforestazione più basso rispetto al 2016-2017 (biennio record causato da una serie di incendi nell’area amazzonica), ma ancora sopra le medie del periodo 2007 – 2015, quando il Paese ridusse il proprio tasso di abbattimento di foreste tropicali del 70%. In questo contesto, il report del Global Forest Watch lancia un ulteriore allarme: buona parte della deforestazione brasiliana nel 2018 sarebbe attribuibile all’attività dell’uomo in Amazzonia(e non a nuovi incendi) con il rischio di tornare ai preoccupanti livelli dei primi anni 2000. Preoccupante anche la prossimità dei terreni disboscati con alcune aree protette abitate da popolazioni indigene.
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Nel complesso, il Sud America, sta vedendo l’emergere di nuovi protagonisti della deforestazione, ciascuno con diverse ragioni: da una parte la Colombia ha aumentato l’abbattimento di foreste tropicali del 9% tra il 2017 e il 2018 per agevolare lo sviluppo di aree remote fino a qualche anno fa occupate dalle FARC, le truppe di miliziani della Armed Revolutionary Forces of Colombia, dall’altra Bolivia e Perù hanno incrementato i propri abbattimenti in conseguenza agl’investimenti in agricoltura su larga scala, nel primo caso, e per quella su piccola scala, nel secondo.
Situazione differente in Africa, dove Costa d’Avorio e Ghana guidano la crescita di deforestazione causata dalla diffusione di colture come il cacao, ma anche per il diffondersi di miniere illegali. In Congo, la deforestazione di foreste tropicali primarie (cresciuta del 38% nel 2018 rispetto al periodo 2011 – 2017) andrebbe ascritta alla ricerca di nuovi terreni agricoli e alla coltivazione di colture per la produzione di biocarburanti.