(Rinnovabili.it) – Il glifosato continuerà ad essere venduto e sparso nell’ambiente, in Italia e in Europa, ma questa è l’unica certezza che abbiamo. Tutti gli interrogativi sulla sua cancerogenicità restano aperti, anche dopo la valutazione di rischio emessa ieri dall’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Perché lo studio della IARC, l’Agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che studia il cancro, lo scorso marzo ha detto il contrario? Chi ha sbagliato? Perché? È presto ed è difficile rispondere con autorevolezza a queste domande, ma qualcuno si è già fatto un’idea. Federica Ferrario, responsabile agricoltura sostenibile di Greenpeace, dichiara a Rinnovabili.it che «la stima dell’EFSA si basa in prevalenza sull’opinione espressa dall’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio [BfR]. Sono stati esclusi invece alcuni autorevoli studi esaminati dalla IARC». L’Autorità tedesca, infatti, svolge il ruolo di punto di contatto nazionale con l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare e la Germania è Stato Membro Relatore dell’Ue sul glifosato. Nel 2014 ha prodotto una valutazione su questa sostanza che è stata ripresa dall’EFSA nella sua relazione di ieri. Tuttavia, utilizzarono a loro volta dati forniti dalla Monsanto e da un consorzio di aziende chimiche, che hanno fatto affidamento a studi di settore non pubblicati. «Evidentemente –nota Ferrario – i conflitti di interesse che in passato hanno colpito l’EFSA non si risolvono dall’oggi al domani». Inoltre, il glifosato è presente nei vari prodotti diserbanti in diverse formulazioni: «L’EFSA però non analizza i formulati – spiega l’attivista di Greenpeace – solo il principio attivo. La IARC invece ha fatto entrambe le valutazioni».
Dunque, verrebbe a cadere la giustificazione che l’Autorità europea ha prodotto per aver raggiunto una conclusione diversa dalla IARC. In un comunicato, l’EFSA ha infatti spiegato che le differenze vengono dal fatto che la loro valutazione ha preso in considerazione solo il principio attivo, mentre alla IARC avrebbero fatto un “minestrone”, analizzando anche i casi in cui lo si trova abbinato ad altre sostanze chimiche. Tanto è sicuro il principio attivo, a detta dell’Autorità Ue, che ha confermato la “dose giornaliera accettabile” a 0,5 mg per kg di peso corporeo. Questo limite è stato alzato dalla relazione prodotta dall’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio: prima era di 0,3 mg. Il riesame dell’EFSA, in definitiva, ha certificato l’aumento della dose di esposizione quotidiana per l’uomo.
«Ora dobbiamo sperare in una valutazione negativa dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche [ECHA] – sospira la responsabile agricoltura sostenibile di Greenpeace – Ma non è prevista prima del 2017. Nel frattempo, la Commissione europea potrà continuare ad autorizzare prodotti a base di glifosato».
L’Italia è uno dei Paesi in cui l’utilizzo dell’erbicida è più diffuso: oltre al comparto agricolo, molte persone lo adoperano per il giardinaggio domestico e le amministrazioni locali per il verde pubblico, comprese le aree gioco dei bambini. Nonostante questo, in Italia non esiste una mappatura del glifosato, a parte in Lombardia. Eppure in Trentino nebulizzano 45 chili di pesticidi ogni ettaro.
«L’altissima incertezza scientifica su questo erbicida diffuso a livello mondiale dovrebbe far riflettere chi dice di fondare il suo giudizio sul principio di precauzione – fa notare Federica Ferrario – Sarebbe meglio comportarsi come Francia e Olanda, che hanno tolto i prodotti a base di glifosato dagli scaffali dei negozi per il fai da te dopo il parere della IARC».
E tra gli esperti degli Stati membri che hanno contribuito alla relazione dell’EFSA, qualcuno forse è d’accordo. Pare che non vi sia stata unanimità di intenti: secondo indiscrezioni, la Svezia avrebbe opposto resistenza alla pubblicazione di un verdetto che non riteneva condivisibile.