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Giovannini: la visione di Asvis al servizio del pianeta

giovannini asvis

 

Alla vigilia della presentazione del Rapporto annuale ASVIS, abbiamo incontrato Enrico Giovannini, il portavoce dell’Alleanza, per capire i segreti dello sviluppo esponenziale di questa recentissima iniziativa e quale ruolo potrà avere nelle politiche ambientali italiane

 

Prof. Giovannini, partiamo dalla fotografia della sua persona. Lei ha un curriculum molto articolato che comprende incarichi accademici, politici e istituzionali. Cosa l’ha portato, ad un certo punto della sua vita professionale, ad avvicinarsi alle problematiche dell’ambiente e in particolare all’Agenda 2030 dell’ONU?

Lei mi porta a fare un bel salto indietro nel tempo.

Nel 1976, al secondo anno di università, lessi un libro che trattava delle proiezioni di crescita dell’umanità e della conseguente e disastrosa situazione del pianeta prevista nel 2030. Quel libro ispirò la mia vita a tal punto da decidere di fare l’economista con l’intenzione di contribuire proprio in quella direzione. Pensavo di occuparmi inizialmente dei paesi in via di sviluppo, ma le opportunità della vita mi hanno portato ad occuparmi di statistica e modellistica. Così, quando andai a lavorare nel 2001 all’OCSE a Parigi, fui immediatamente coinvolto in un importante progetto di sviluppo sostenibile. Erano anni di grandi contraddizioni: mentre negli USA era praticamente vietato anche solo usare la parola “sviluppo sostenibile”, in alcuni Paesi del nord Europa già si era molto avanti. Nell’ambito di quel progetto provammo a sviluppare i primi indicatori di Sviluppo Sostenibile e, nel 2014 a Palermo, organizzammo il primo Forum Mondiale sugli indicatori che misurano il benessere dell’uomo andando oltre il PIL.

Da allora ogni due anni si è tenuto il Forum ed il prossimo, il sesto, si terrà a novembre in Corea.

 

Se non sbaglio in quel periodo fondaste un Movimento particolarmente ambizioso…

Sì. In effetti, da questa esperienza nacque il Movimento per andare oltre il PIL. Dopo l’OCSE tornai in Italia come presidente dell’ISTAT dove ho sviluppato il BES, gli indicatori di Benessere Equo e Solidale, indicatori che poi son diventati i precursori di quelli dello sviluppo sostenibile. Dopo l’ISTAT ricevetti l’incarico di Ministro e, nell’agosto del 2014, fui contattato da Ban Ki-moon che mi chiese di guidare un gruppo di lavoro internazionale finalizzato a determinare come gli indicatori avrebbero potuto contribuire allo sviluppo sostenibile.

 

E la nascita dell’ASVIS?

A valle di questa meravigliosa esperienza mi son detto: cosa posso fare per concretizzare il mio impegno di questi anni? E da lì è nata l’idea di ASVIS…

 

Ecco appunto parliamo dell’ASVIS. Lei è il principale promotore dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile che è stata fondata appena 2 anni fa, nel febbraio del 2016. Su quali presupposti è nata?

Durante le mie lunghe esperienze professionali, come accennato, ho sempre coinvolto direttamente la società civile in base ad un ragionamento ben ispirato da Massimo Salvadori, autore di libri sul progresso. Egli affermava che, con il fallimento del fascismo e del comunismo l’idea che il progresso fosse un elemento creato dalla storia e stato completamente abbandonato. Da allora addirittura la parola progresso è stata dimenticata, sul piano filosofico, e sostituita con progressi che rappresenta l’insieme del progresso tecnologico, quello economico, quello umano, perdendo di vista l’idea che si potesse avere un’unica visione di progresso. E lui si domandava: quale sarà dunque il vero significato di progresso che ancora possiamo utilizzare? E la risposta: Sarà quello che le persone decideranno.

Quindi, dopo l’approfondito lavoro svolto sugli indicatori, che scartava l’idea che i tecnocrati potessero decidere le caratteristiche della vita dei cittadini, non restava che coinvolgere, naturalmente, i rappresentanti dei diretti interessati: le persone. Ecco perché in tutta la storia del mio impegno professionale ho sempre coinvolto la società civile per realizzare quello che scrivemmo nella dichiarazione di Istanbul, nel 2007, e cioè una visione condivisa del progresso e del benessere. E chi se non la società civile può definire questi obiettivi?

Da queste considerazioni nacque l’idea di ASVIS che inizialmente proposi alla mia Università, Roma Due, e alla Fondazione UNIPOLIS.

E così a febbraio del 2016 venne creata questa Alleanza inizialmente con 80 soggetti, mentre oggi siamo già a 225.

 

Quali sono, concretamente, gli obiettivi di ASVIS?

Il punto di partenza è l’Agenda 2030 dell’ONU, approvata da tutti i paesi del mondo nel settembre del 2015.

Si tratta dell’unico Piano per salvare il Pianeta in quanto ormai, come affermato nell’apertura del documento, siamo su un sentiero di non sostenibilità. Parliamo di una non sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica, sociale ed istituzionale secondo i parametri indicati dal Rapporto Brundtland del 1987 della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Altre caratteristiche di questa Agenda sono l’universalità – tutti i Paesi devono contribuire al perseguimento dello sviluppo sostenibile – e la partecipazione – cioè l’apertura ad un impegno di tutte le componenti sociali.

 

In quale modo saranno perseguiti questi valori?

Il ruolo dell’Alleanza è quello di fare in modo che l’Italia, e non solo, aderisca concretamente all’Agenda 2030 e realizzi i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che vanno dall’eliminazione della povertà e della fame, alla lotta alle diseguaglianze, a tutti i temi di salvaguardia ambientale. Tali obiettivi, che vanno raggiunti entro il 2030, sono articolati in 169 target che dettagliano in concreto le azioni da intraprendere per raggiungere i risultati nei tempi previsti. Nella convinzione che servano tre cose per portare il Paese, l’Europa e il mondo intero verso lo sviluppo sostenibile: la tecnologia, senza di essa non si riuscirà a dar da mangiare a tutti ed a consumare meno energia, il cambiamento di mentalità, che possa garantire nuovi stili di vita ed il cambiamento della governance del processo, non solo a livello macro ma anche micro, come quello delle imprese. Senza l’attuazione di questi tre fattori lo sviluppo non diventerà sostenibile. Quindi l’ASVIS prova ad aiutare il nostro Paese a fare questo salto lavorando contemporaneamente a più livelli: l’educazione, la politica, il cambiamento di mentalità, le buone pratiche.

 

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Per raggiungere questi obiettivi ci spieghi come operativamente siete organizzati.

Il punto cruciale è che noi proviamo a fare ciò che le nostre 225 organizzazioni non fanno ancora. Pensiamo all’educazione: ammetto che molte associazioni culturali e ambientaliste già fanno un lavoro enorme nelle scuole per educare ad un cambiamento di stile, ma il messaggio deve essere ben più articolato: dimostrare, cioè, che economia, società, ambiente e governance sono tematiche diverse dello stesso problema.

 

Come lo dimostrate?

Ad esempio attraverso il nostro corso e-learning sull’Agenda 2030 che è già stato seguito già da 33.000 docenti nel 2018 che diventeranno 58.000 nel 2019. Si tratta di uno strumento importante per mostrare la complessità del sistema ed iniziare a comprenderlo. Ha ragione Papa Francesco quando dice che la cultura dello scarto fisico è la stessa che genera anche gli scarti umani. Il nostro maggiore impegno è di far capire che lo sviluppo sostenibile non è solo una questione ambientale, ma nel momento in cui si scartano le persone, la non sostenibilità sociale fa esplodere il nostro mondo così come la mancata sostenibilità ambientale genera i disastri che sono davanti gli occhi di tutti.

 

Quindi il tema della sostenibilità ambientale è strettamente legato a quello sociale ed economico…

Certamente. Nelle scuole operiamo in questo modo, nelle università abbiamo creato, con un coinvolgimento diretto dei rettori, la Rete italiana per le Università per lo sviluppo sostenibile. Attualmente sono 59 Atenei che, dopo aver incominciato a cambiare i loro stili di lavoro, sul consumo di energia e di acqua, hanno iniziato a ragionare sull’educazione allo sviluppo sostenibile in tutti i campi.

 

E l’utilizzo degli indicatori come avviene?

Partendo dai 150 indicatori individuati dall’ISTAT,  abbiamo costruito degli indicatori compositi di 17 goal con serie storiche dal 2010 ad oggi. In tal modo si ha immediatamente l’idea dell’andamento di ogni goal. E così possiamo subito valutare se l’Italia sta procedendo o peggiorando. Questo studio l’abbiamo allargato anche all’Europa ed a breve lo faremo per tutto il mondo.

Poiché le politiche possono avere simultaneamente effetto su vari goal, alcuni positivi altri negativi – si pensi come una manovra espansiva sul PIL, senza un’adeguata transizione ecologica, possa aumentare l’inquinamento – abbiamo lavorato con la Fondazione Mattei per mostrare concretamente come le politiche agiscano sui vari goal. In tal modo si evidenzia l’importanza di operare politiche integrate basate sempre su valutazioni multidisciplinari. Questo modello mostra che si potrebbero fare già adesso disegni delle politiche pensando a priori all’impatto simultaneo.

 

Avete provato a condividere il vostro modello con la politica?

Certo. Abbiamo collaborato con il Parlamento per disegnare politiche in modo diverso. Prima delle ultime elezioni abbiamo proposto a tutte le forze politiche un documento con 10 punti strategici, firmato da tutti i partiti tranne Lega e Fratelli d’Italia, in cui al primo punto è l’introduzione nella Costituzione del principio dello sviluppo sostenibile. E questo è già presente in una proposta di legge in Parlamento. Abbiamo contribuito a disegnare la Governance portando alla Presidenza del Consiglio la responsabilità delle politiche per lo sviluppo sostenibile. E l’ex presidente Gentiloni ha firmato una Direttiva, lo scorso 16 marzo, che dà il potere alla Presidenza del Consiglio di coinvolgere le regioni e le città.

 

Vorrei adesso entrare nel merito dei 17 obiettivi: alcuni appaiono particolarmente concreti, altri più utopici, come la sconfitta della fame nel mondo o la riduzione delle disuguaglianze. Non crede che un approccio così ampio e globale possa finire per diluire il potenziale virtuoso di tutto il progetto Agendo 2030?

No, direi di no. Partendo dal primo goal: il superamento della povertà. I 5 milioni di poveri italiani sono il primo problema da risolvere. Per questo il target 10.2 dice che dobbiamo assicurare l’eguaglianza di opportunità e ridurre le disuguaglianze di risultato o il target 10.4 che bisogna fare politiche fiscali che avvantaggino il 40% più povero della popolazione. Vede quanto siamo concreti e quanto l’ipotetica utopia, a cui lei faceva cenno, diventa realistica?

Gli obiettivi sono impossibili solo se le politiche continuano ad essere sbagliate e se non riusciamo a fare i “salti” che le dicevo.

 

Tutto ciò si impatta con le realtà politiche dei singoli Paesi. Sto pensando alla regressione delle politiche ambientali negli USA ed anche nel nostro Paese.

Lei ha ragione. Ci sono preoccupanti segnali da tutto il mondo ed anche a casa nostra. Per questo il Rapporto ASVIS che presenteremo domani non è solo analitico, ma raccoglie nell’ultimo capitolo proposte politiche e indicazioni concrete per l’approccio alla governance. Noi proviamo faticosamente a portarle avanti, ma mi creda: è già un “miracolo” che tali proposte siano firmate da 225 soggetti che rappresentano una grossissima massa critica culturale, istituzionale ed economica.

Ma dobbiamo fare davvero in fretta: non solo è a rischio la prossima generazione, ma questa.