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Il Governo giapponese potrebbe sversare in mare l’acqua contaminata di Fukushima

Le cisterne di stoccaggio installate dalla Tepco presso la centrale di Fukushima Daiichi arriveranno a saturazione entro il 2022: secondo il Ministro dell'Ambiente giapponese, l'unica soluzione è sversare parte dell'acqua contaminata direttamente nell'Oceano Pacifico.

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Esperti dell’IAEA supervisionano le cisterne contenenti acqua contaminata a Fukushima Daiichi. Foto credit Greg Webb / IAEA – flickr

 

Attualmente, le cisterne di Fukushima contengono 1 milione di metri cubi d’acqua contaminata

(Rinnovabili.it) – Il Governo giapponese sta valutando la possibilità di sversare direttamente nell’Oceano Pacifico parte dell’acqua contaminata utilizzata per raffreddare i reattori danneggiati della centrale di Fukushima Daiichi: la conferma dell’indiscrezione trapelata fin da inizio estate è arrivata dal Ministro dell’Ambiente giapponese, Yoshiaki Harada, durante un incontro con i media.

 

Negli ultimi 8 anni, la Tokyo Electric Power (Tepco), la società che gestisce il complesso di reattori di Fukushima, ha installato quasi 1.000 cisterne per contenere i 200 metri cubi d’acqua giornalieri necessari a raffreddare le barre di combustibile radioattivo. A inizio giugno 2019, Tepco ha annunciato che per metà 2022 avrebbe esaurito lo spazio in cui stoccare l’acqua contaminata costringendo il Governo giapponese a valutare le possibili alternative di smaltimento (come lo stoccaggio sotterraneo o la costruzione di altre cisterne, ipotesi scartate a causa degli alti rischi connessi con l’esposizione a frequenti fenomeni sismici tipici in Giappone).

 

“L’unica soluzione è quella di versarla in mare e diluirla. Il Governo ne discuterà, ma vorrei offrire la mia semplice opinione”, ha spiegato il Ministro dell’Ambiente ai media senza specificare eventuali modalità e quantità di acqua contaminata che potrebbero essere riversate nell’Oceano Pacifico.

 

Al momento, le cisterne contengono circa 1 milione di metri cubi di acqua contaminata, mentre la capacità massima del sito, considerando l’eventuale costruzione di alcune nuove cisterne, non potrebbe andare oltre gli 1,37 milioni di metri cubi.

 

Una volta entrata in contatto con le barre di combustibile radioattivo, l’acqua, prelevata direttamente dal mare, si carica di isotopi pericolosi per l’ambiente e la salute umana (se presenti in alte concentrazioni) come trizio, rutenio, stronzio, cesio e iodio. Dopo i debiti trattamenti, le acque contaminate dovrebbero contenere solo trizio e in percentuali non pericolose per l’ambiente, tuttavia, diverse analisi hanno riscontrato la presenza di altri isotopi radioattivi e di elevati livelli di iodio e rutenio anche dopo i primi processi di filtraggio presso gl’impianti di Fukushima Daiichi.

 

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Le affermazioni del Ministro dell’Ambiente sono state in parte ridimensionate dal portavoce di gabinetto del Governo giapponese, Yoshihide Suga, che ha sottolineato il carattere “strettamente personale” delle opinioni espresse da Harada.

Il Governo nipponico ha incaricato un panel di esperti di valutare tutte le opzioni disponibili alla ricerca di una risoluzione della crisi che non comprometta ulteriormente la sicurezza dell’ambiente e delle persone.

 

Anche la vicina Corea del Sud ha espresso la propria contrarietà alla soluzione avanzata da Harada: ad agosto, il Governo di Seul aveva convocato un ambasciatore nipponico per chiedere chiarimenti riguardo i progetti di smaltimento delle acque contaminate della centrale di Fukushima.

 

La Tepco non ha ancora ufficializzato la propria posizione in merito; tuttavia, la lunga durata delle operazioni di rimozione delle barre radioattive (la cui conclusione è prevista per il 2023) costringerà necessariamente anche l’azienda energetica ad affrontare l’ennesimo tassello di una crisi che appare senza fine.