L’Università di Oxford ha definito irrealistico investire oggi nella geoingegneria. Costi troppo alti e rischi non calcolati nel dettaglio
(Rinnovabili.it) – La geoingegneria non è la panacea per il global warming, e spargere sale marino o solfato in atmosfera per riflettere la luce non è una strategia cui aggrapparsi per combattere il cambiamento climatico. Non lo affermano i tanto derisi detrattori delle scie chimiche, ma l’Università di Oxford. In un suo studio, dopo aver valutato gli ostacoli a livello di governance e regolamenti, l’ateneo conclude che i costi sono letteralmente irrealistici.
«Prendete con le pinze tutto ciò che sentite pro e contro la geoingegneria – dichiara Steve Rayner, professore di Scienza e Civiltà ad Oxford e principale indagatore del Climate Geoengineering Governance project – È quasi certo che questa scienza non sarà né una toccasana né un vaso di Pandora».
Le Università britanniche stanno sperimentando tecniche di manipolazione delle temperature attraverso la geoingegneria, incoraggiate dalle stime della IEA (International Energy agency), la quale sostiene che gli investimenti in energia low carbon e in efficienza energetica debbano raddoppiare entro il 2020 se vogliamo mantenere il riscaldamento globale entro livelli di sicurezza. Il tetto da raggiungere, e se possibile da superare, secondo l’agenzia è di 790 miliardi di dollari.
In questo fiume di denaro, azzardano le università, potrebbe esserci spazio anche per lo sviluppo della geoingegneria. Tecniche molto simili sono già utilizzate da decenni e su vasta scala a livello militare, come dimostra lo sconvolgente articolo del generale Fabio Mini, pubblicato qualche anno fa su Limes. L’idea che certo tipo di pratiche vengano promosse per risolvere la crisi climatica, ma nel contempo si presentino come strumenti ideali durante i conflitti, non è certo incoraggiante. Basti pensare a tutte le possibili conseguenze della dispersione in aria di ioduro d’argento per provocare precipitazioni circoscritte. Si potrebbe forse rendere fertile il deserto del Sahara, ma anche bloccare la vita di intere città. Insomma, la sicurezza globale sarebbe minacciata senza un accordo internazionale sullo stile del Trattato di non proliferazione nucleare.
Gli aerosol di solfato che si vorrebbe sviluppare, al fine di aumentarne la capacità atmosferica di riflettere la luce solare, riproducono un processo che avviene naturalmente durante le eruzioni vulcaniche. Lo ha dimostrato l’Università di Bristol. Matthew Watson, docente in rischi naturali dell’ateneo, ha dichiarato che «sebbene sia possibile ridurre le temperature con la distribuzione, è altrettanto possibile il rischio di compiere degli errori. Identificando i rischi, speriamo di contribuire alla costruzione di una serie di prove sulla geoingegneria, così da consentire decisioni essendo a conoscenza di tutte le controindicazioni».