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La nuova frontiera della geoingegneria climatica: togliere vapore acqueo dalla stratosfera

Uno studio della NOAA pubblicato su Science Advances presenta una nuova soluzione per ridurre artificialmente il global warming antropico: favorire la formazione di nuvole prima che il vapore acqueo – un gas a effetto serra – raggiunga gli strati superiori dell’atmosfera terrestre. Molti i vantaggi pratici, ma c’è il rischio che stimoli la formazione di cirri, che aumentano l’effetto serra

Geoingegneria climatica: disidratare l’atmosfera contro il global warming
Foto di Paul Crook su Unsplash

La tecnica di geoingegneria climatica userebbe 2 kg di triioduro di bismuto a settimana

(Rinnovabili.it) – Disidratare artificialmente la stratosfera per rallentare il riscaldamento globale. Agendo su uno dei gas a effetto serra meno attenzionati dalle politiche sul clima, il vapore acqueo. E usando una tecnica già impiegata oggi, il cloud seeding, ma spostando l’intervento appena prima che le particelle raggiungano il 2° dei 5 strati in cui è suddivisa l’atmosfera del Pianeta. È la soluzione di geoingegneria climatica proposta da uno studio del Chemical Sciences Lab della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense, pubblicato su Science Advances.

L’idea alla base di questa tecnica di geoingegneria climatica è impedire che l’aria umida, carica di vapore acqueo, raggiunga la stratosfera. Come? Disperdendo ad alta quota particelle che facilitano la formazione delle nuvole. In questo modo si diminuirebbe la concentrazione di vapore acqueo oltre i 9-17 km di altezza, dove può restare per anni assorbendo calore dalla radiazione solare e riflettendolo sulla Terra. Si calcola che l’aumento di vapore acqueo in stratosfera negli anni ’90 abbia contribuito al 30% dell’aumento della temperatura globale registrata in quel decennio.

Vantaggi e incertezze della geoingegneria climatica tramite deidratazione stratosferica intenzionale

Questa tecnica, battezzata “deidratazione stratosferica intenzionale”, presenterebbe alcuni vantaggi rispetto ad altre ipotesi di geoingegneria climatica proposte negli anni. Il primo: si può usare il triioduro di bismuto, un composto non tossico già impiegato per stimolare la nucleazione di ghiaccio nelle nuvole.

Secondo vantaggio: l’intervento si può concentrare in un’area molto piccola, ma con effetti globali. Il vapore acqueo raggiunge la stratosfera solo grazie a correnti ascensionali molto forti, e sono pochi i luoghi del Pianeta abbastanza caldi da generarle. Il principale è grande come l’Australia e si trova nel settore equatoriale del Pacifico.

Altre caratteristiche del fenomeno rendono meno complessa la logistica e la sostenibilità di un simile intervento di geoingegneria climatica. Sull’area interessata da correnti ascensionali potenti, nell’1% della massa di aria è concentrata metà del vapore acqueo presente. Si può quindi individuare questo 1% e concentrare l’intervento lì. Intervento che può essere effettuato con droni o sonde, senza il ricorso ad aerei. E richiederebbe una quantità limitata di materiale: appena 2 kg a settimana, secondo i calcoli presentati nello studio.

Ci sono ovviamente molte incertezze sull’efficacia e la sicurezza della deidratazione stratosferica intenzionale. Un rischio è di favorire la formazione di corpi nuvolosi come i cirri, che riflettono poco la radiazione solare via dal Pianeta ma assorbono molta radiazione infrarossa dalla superficie terrestre, immagazzinandola. Se ciò avvenisse, l’intervento avrebbe un effetto riscaldante, non raffrescante, sul termometro globale. E ci sono dubbi anche riguardo l’opportunità di testare la tecnica visti i benefici limitati: si stima che potrebbe ridurre solo l’1,4% del global warming antropico cumulato dall’età industriale ad oggi.