Pacche sulle spalle e obiettivi comuni sul clima. Ma anche dichiarazioni ambigue su sicurezza energetica e diversificazione delle fonti
(Rinnovabili.it) – Il consenso è ampio, la volontà di agire in fretta e con metodo sul clima è ribadita da tutti, così come quella di ridefinire i contorni del mercato energetico globale. È questo il quadro dell’incontro di ieri fra i ministri dell’energia del G7. Ad Amburgo, i capi dei dicasteri in questione nel gruppo dei sette Paesi industrializzati hanno detto che per la prima volta si è registrato un consenso senza precedenti sull’urgenza di arginare il cambiamento climatico e migliorare le prospettive di un accordo sul clima alla COP 21, organizzata dalle Nazioni Unite a Parigi sul finire dell’anno.
Quasi 200 nazioni si riuniranno a nella capitale francese a partire dagli ultimi giorni di novembre, per cercare di concordare un nuovo testo che diventi una cornice in cui muoversi per ridurre le emissioni di gas serra a livello mondiale, scongiurando così un aumento della temperatura media globale superiore a 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali.
I ministri del G7 – Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti – si sono incontrati per due giorni nella città portuale tedesca e hanno riconosciuto che gli sforzi del gruppo dovrebbero essere indirizzati verso un accordo globale sul clima. Il ministro dell’Economia e dell’Energia tedesco, Sigmar Gabriel, ha detto in conferenza stampa di non aver «mai avvertito tanto consenso» sull’obiettivo.
Per il Segretario dell’Energia statunitense, Ernest Moniz, un accordo entro la fine dell’anno è più probabile rispetto a prima: «Le prospettive per Parigi sono notevolmente migliori di sei o sette mesi fa».
I leader del G7 sperano di dar vita ad un erede del protocollo di Kyoto durante la COP 21. Sarebbe una vittoria dopo le tante sconfitte, come quella del 2009, quando i negoziati sul clima a Copenhagen si chiusero con un nulla di fatto e nella delusione generale a causa delle divergenze fra USA e Cina.
La Germania oggi sta contribuendo a rendere il clima un tema prioritario nell’agenda globale: lo ha spinto decisamente grazie al ruolo di presidente pro tempore del G7, e ha invitato i leader a riunirsi il prossimo mese in un castello bavarese ad Elmau per darsi target impegnativi di riduzione delle emissioni di CO2.
In una dichiarazione congiunta dopo la riunione di Amburgo, i ministri hanno inoltre promesso di migliorare la sicurezza energetica diversificando le forniture e fornitori. Frase sibillina, quest’ultima, che sembra manifestare la forte intenzione, da parte di Europa e Giappone, di dare inizio il prima possibile a massicce importazioni di shale gas e petrolio da Stati Uniti e Canada. Potrebbe essere questo il motivo del giubilo di Sigmar Gabriel, uno dei più forti promotori europei dei trattati di libero scambio con Canada e USA (CETA e TTIP). Anche il Giappone, dopo un momento di stallo, ha ripreso i colloqui con gli Stati Uniti per il TPP, accordo che coinvolgerebbe 12 Paesi del Pacifico. Dalla stessa angolazione possono essere viste, infine, le dichiarazioni di Federica Guidi, ministro italiano dello Sviluppo Economico, che ha detto: «La diversificazione delle fonti primarie è elemento imprescindibile per la sicurezza energetica, così come la diversificazione delle tecnologie di produzione e distribuzione dell’energia».
L’energia è uno dei tasselli fondamentali di questo tentativo di riorganizzare l’ordine geopolitico globale, come abbiamo raccontato qui e qui. La partita è apertissima, e sul tavolo del clima se ne gioca soltanto una parte. Perché Parigi potrebbe essere una bella vetrina, utile per dare una mano di verde all’immagine delle grandi potenze, il cui maggior interesse è aprire nuovi canali di libero scambio, come quello energetico.