(Rinnovabili.it) – I costi del disastro nucleare di Fukushima lieviteranno a “diversi miliardi di dollari l’anno”. Lo ha reso noto ieri il governo giapponese a margine di un incontro con i vertici di Tepco, gestore delle centrali, dove sono state esaminati i possibili piani finanziari per evitare che la compagnia vada in bancarotta. Fino ad oggi i costi del decommissioning si aggiravano ufficialmente intorno agli 800 milioni di dollari l’anno. L’aumento, stando a quanto affermato dal ministro dell’Industria nipponico, sarebbe da imputare alle difficoltà sorte nella rimozione e messa in sicurezza del combustibile nucleare.
Per mettere in sicurezza l’impianto di Fukushima le stime dicono che serviranno 40 anni. Ma fino a quando l’azienda non individua le barre di combustibile, non sarà in grado di valutare i progressi compiuti e costi finali. Un processo che continua ad andare a rilento. Il combustibile fuso trafilato dalle vasche di contenimento è finito nei reattori, ma nessuno sa esattamente dove si trovi adesso. Questa parte dell’impianto è troppo pericolosa per gli esseri umani. Un robot inviato dalla Tepco per localizzarle ha percorso solo 10 metri prima di spegnersi, ma ha fatto in tempo a captare livelli di radioattività pari a 9,7 sieverts l’ora. Una quantità sufficiente a uccidere un essere umano in 60 minuti.
La pessima gestione del contenimento riguarda poi lo stoccaggio delle acque contaminate. A inizio ottobre si è verificata l’ennesima fuoriuscita dalle cisterne di contenimento, che sono tenute insieme da semplici bulloni. Servirebbero quelle a pareti saldate, che sono più sicure ma richiedono anche più tempo per assemblarle. Tempo che la Tepco ha ammesso di non avere, tanta è l’acqua che deve stoccare. Inoltre il dispositivo di contenimento inaugurato a marzo, il famoso muro di ghiaccio, ha già rivelato diverse falle ed è stato messo a dura prova da semplici piogge abbondanti.
Per l’azienda tutto questo è un problema secondario rispetto a quello finanziario. Infatti, una volta accertati i costi definitivi per il decommissioning, la Tepco dovrebbe mettere l’immenso importo a bilancio: vorrebbe dire fallimento. Così ha chiesto al governo di poterlo inserire a rate. Ma durante l’incontro di ieri si è affacciata anche una seconda possibilità, ovvero la scissione di Tepco in due: verrebbe creata una “bad company”, nominalmente la sola responsabile del comparto nucleare, che dovrebbe quindi farsi carico di tutte le spese. Così la Tepco verrebbe “ripulita” e avrebbe ancora qualche speranza di sopravvivere. Ma a questo punto chi garantisce che i costi del decommissioning non finiscano tutti sulle spalle dei cittadini giapponesi?