(Rinnovabili.it) – Molte sostanze chimiche utilizzate nelle operazioni di fracking sono collegate a problemi riproduttivi e dello sviluppo. Lo afferma una analisi della Yale School of Public Health, pubblicata sul Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology.
Per la precisione, il team di ricerca ha valutato i dati disponibili per 1.021 composti impiegati nella fratturazione idraulica, tecnica con cui si recuperano petrolio e gas naturale dal profondo della terra utilizzando una miscela di fluidi che possono contenere centinaia di sostanze chimiche. Il processo crea notevoli quantità di acque reflue e fratture nella roccia, rappresentando una potenziale minaccia sia per le acque di superficie che per le falde acquifere.
I ricercatori pur mancando dati sufficienti sulla tossicità della maggior parte delle sostanze prese in esame, hanno potuto analizzarne 240. La conclusione è stata che 157 di esse – tra cui arsenico, benzene, cadmio, piombo, formaldeide, cloro e mercurio – sono state associate sia alla tossicità per lo sviluppo che a quella riproduttiva.
Altri studi, in precedenza hanno osservato connessioni tra la vicinanza ai siti di fracking e problemi nel ciclo riproduttivo o nello sviluppo dei bambini (Leggi l’articolo di Rinnovabili.it – Vicino ai pozzi del fracking nascono bambini sottopeso). Ma non hanno mai preso in considerazione prodotti chimici specifici. La valutazione dei ricercatori di Yale potrebbe essere un apripista per future ricerche che mettano in evidenza le sostanze chimiche con la più alta probabilità di impatto sulla salute.
Gli scienziati hanno determinato, inoltre, che le acque reflue prodotte dalla fratturazione idraulica possono essere ancora più tossiche dei fluidi originari. Sostengono, pertanto, sia necessario approfondire non solo i singoli composti che finiscono nel pozzo, ma anche prodotti e sottoprodotti che vengono generati quando questi si mescolano durante il processo.
La pratica del fracking è cresciuta drammaticamente negli ultimi anni ed è destinata ad aumentare ancora. Si tratta di una perforazione del terreno in profondità, con un successivo rilascio ad alta pressione di un mix di acqua, sabbia e composti chimici, che frattura la roccia in cui è intrappolato il gas. Oltre agli impatti sulla salute e sull’ambiente di questa tecnica invasiva, vi sono quelli sul clima dovuti alle frequenti fughe di metano.