(Rinnovabili.it) – Con il fracking non si va da nessuna parte: è nemico del clima e causerà una bolla speculativa. È quello che dicono, con argomentazioni piuttosto solide, studi che hanno segnato il dibattito recente sulla politica energetica degli Stati Uniti e i relativi impatti sul clima. La politica climatica di Obama si è basata finora soprattutto sulla sostituzione del carbone con il gas naturale. Sembrava una mezza rivoluzione, ma oggi pare che, invece, non sia così. Diversi fattori hanno tratto in inganno gli economisti con scarso interesse per le questioni ambientali. Infatti la rapida diffusione della fratturazione idraulica ha portato a un iniziale boom delle riserve di gas naturale, cresciute a dismisura, e ad un proporzionale crollo dei prezzi. Molti impianti a gas hanno soppiantato le ormai obsolete centrali a carbone, e gli Stati Uniti si sono fregiati del merito di aver iniziato con il piede giusto la transizione verso le energie pulite e il taglio delle emissioni (la strategia energetica prevede di arrivare ad un -30% rispetto al 2005 entro il 2030). Non solo: questa marcia a tappe forzate fuori dall’era del carbone aveva anche l’obiettivo dichiarato di raggiungere l’indipendenza energetica tramite l’estrazione del metano. In uno dei suoi discorsi durante la campagna per la rielezione, nel 2012, il presidente aveva affermato: «Abbiamo scorte di gas naturale che possono bastare alla nazione per cento anni, e la mia amministrazione metterà in campo ogni possibile misura per sviluppare questa energia in sicurezza».
La rivista Forbes, però, ha presto lanciato l’allarme per la diffusione incondizionata del fracking, più che altro criticando l’amministrazione Obama che ha pensato prima di tutto a fare del gas naturale uno strumento di politica estera. Infatti, esportando la maggior parte delle risorse estratte sul patrio suolo, Obama sta cercando di pestare i piedi a Putin, in un tentativo di spostare ad occidente il baricentro dell’Europa, che si rifornisce per buona parte attraverso i gasdotti russi. Inoltre, il governo americano ha offerto a diversi paesi l’assistenza tecnica per avviarli al fracking nei rispettivi confini: India, Cina, Indonesia, Sud Africa e Messico hanno accettato l’offerta. Intanto, però, sono cresciuti i mal di pancia dei cittadini statunitensi, specialmente in quei luoghi più densamente urbanizzati nei pressi dei quali le trivelle sconquassavano il terreno. La protesta ha prodotto studi, documentari, ricerche. È venuto fuori che esisterebbero legami fra queste pratiche di estrazione e i terremoti, e che le falde acquifere venivano inquinate da cocktail di sostanze chimiche vietate dal Safe Drinking Water Act – dal rispetto del quale il fracking è stato esentato – e iniettate sotto terra. Poi si è scoperto che le fuoriuscite di metano dai giacimenti underground, se prendono la via delle tubazioni dell’acqua potabile, possono generare getti d’acqua infiammabile dai rubinetti delle case.
Se invece il gas si disperde in atmosfera, contribuisce in proporzione molto più della CO2 al riscaldamento globale. Rendendo gli sforzi di Obama contro il global warming una lotta contro i mulini a vento. Il biochimico Bob Hogwarth, professore di Ecologia e biologia ambientale alla Cornell University, sostiene che sia impossibile ridurre a zero le fuoriuscite di metano. Un suo studio sostiene che circa il 4-8 per cento del gas ottenuto si perde in atmosfera. Che è parecchio. Abbastanza, si spinge a dire lo scienziato, per rendere il fracking più dannoso del carbone per il clima. Dopo aver subito numerosi attacchi da parte dell’industria, ed essere tacciato di attivismo e di pseudoscienza, Howarth ha pubblicato i dati, che sono risultati sostanzialmente inoppugnabili.
Il problema sarà presto anche economico: una ricerca del geologo canadese David Hughes ha evidenziato che la produttività dei pozzi da fracking cala, in media, dell’85% dopo tre anni. Ecco perché è necessario continuare a investire in trivellazioni. Altrimenti il prezzo del metano salirebbe alle stelle, così come salirà non appena cominceranno ad esaurirsi molti giacimenti. A questo punto esploderà la bolla speculativa che oggi sta sostenendo chi scommette sul fracking.
La posizione del governo adesso è cambiata: il gas da fracking sarà solo un ponte verso una energia pulita ottenuta da fonti rinnovabili, che al momento, purtroppo, non sono ancora abbastanza sviluppate. Guarda caso, la causa del rallentamento nello sviluppo di solare ed eolico va di pari passo con il crollo dei prezzi del gas, dovuto all’esplosione del fracking. Inoltre, una volta costruiti gasdotti e impianti per il trattamento del metano, sarà più difficile decidere di abbandonare la sua estrazione in favore del solare o dell’eolico. Senza contare che si è già formata una lobby del fracking, che ha rimpiazzato quella del carbone e che non sarà facile da dissuadere dai suoi propositi. Basti pensare che Michael Levi, esperto di energia del Council of Foreign Relations, ha stimato che se vogliamo abbandonare il gas naturale entro il 2020 dobbiamo azzerare gli investimenti adesso. Sulla stessa linea le conclusioni tratte da un team di 14 compagnie, agenzie governative e università riunitesi a Stanford nel 2013. La tesi dell’analista Joe Romm, che ha riportato gli esiti dello studio, è disarmante: «Da un punto di vista climatico la rivoluzione dello shale gas è stata pressoché irrilevante, nonché uno spostamento massivo di risorse economiche che si sarebbero potute destinare allo sviluppo di fonti carbon-free».