(Rinnovabili.it) – Ieri il Fondo verde per il clima (GCF) ha approvato l’accreditamento di 13 nuovi soggetti tramite i quali incanalare i suoi fondi. Si tratta dei governi di Marocco, Etiopia, Kenya, Sud Africa, Argentina, e delle organizzazioni internazionali AfDB, BEI, IFC, IUCN, il PAM, WMO, secondo Brandon Wu, osservatore di ActionAid.
Nel Fondo verde per il clima dovranno confluire 100 miliardi di dollari entro il 2020, secondo le promesse dei 196 Paesi riuniti lo scorso dicembre alla COP 21. Il denaro dovrà servire ad aiutare lo sviluppo di progetti volti alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici delle regioni più povere e vulnerabili sul pianeta. La mole di denaro fa gola ai colossi della finanza e dell’industria, che mirano alla gestione di parte di quei fondi per trasformare in business quei contributi a spese delle comunità locali. Nonostante l’opposizione di 172 gruppi ambientalisti, il board del Fondo ha deciso di accreditare anche le banche private HSBC e Crédit Agricole.
Le due banche vengono accusate di riciclaggio di denaro, cattiva gestione finanziaria e stretti legami con l’industria del carbone: sarebbero tra i primi 20 istituti di credito privati a finanziare questo inquinante settore. Il gruppo di ONG stima che HSBC abbia speso quasi 8 miliardi di dollari nel carbone fra il 2009 e il 2014, mentre Crédit Agricole si attesterebbe a 9,5. Sempre HSBC è accusata di finanziare l’industria dell’olio di palma in Indonesia, che ha portato il Paese a un tasso di deforestazione mai visto prima e un inquinamento giunto ad appestare perfino Malesia e Singapore.
Ora, gli istituti di credito potranno rinverdire la loro immagine, nel tentativo di fugare le accuse di scarso rispetto dei diritti umani.
«I fondi pubblici devono essere utilizzati per sostenere le comunità locali nei Paesi in via di sviluppo – ha detto Sam Ogallah, della Panafrican Climate Justice Alliance – non per sovvenzionare le grandi banche».
Secondo Oxfam, l’accreditamento di HSBC e Crédit Agricole è «in contrasto sia con l’accordo di Parigi, sia con la volontà di mantenere alti standard dei diritti umani. Ogni partner del settore privato del GCF deve avere una strategia credibile per rendere il suo intero portafoglio e le sue operazioni coerenti con il mantenimento del riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C».