Gli esperti lanciano l’allarme: “Non sappiamo quando i fondali marini si riprenderanno dagli sversamenti di petrolio
(Rinnovabili.it) – A distanza di otto anni dal disastro della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera che portò allo sversamento di quasi 5 milioni di barili di petrolio grezzo nel Golfo del Messico, un team di ricercatori sta cercando di capire quanto l’incidente abbia compromesso la biodiversità dei fondali marini.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, ha preso in esame il particolare tessuto di microrganismi sviluppati sulle carcasse di vecchi naufragi. Il Golfo del Messico, infatti, è caratterizzato da acque particolarmente agitate e ha una lunga storia di affondamenti. I relitti depositati sul fondale marino, tendenzialmente sabbioso e quindi poco adatto allo sviluppo della vita marina, hanno fornito l’ambiente solido ideale per lo sviluppo di microrganismi che svolgono un ruolo essenziale nella catena alimentare: regolano, infatti, la quantità di carbonio nell’acqua e riciclano nutrienti.
Secondo i dati raccolti dal 2014, tra l’11 e il 30% del petrolio fuoriuscito non è stato recuperato e si stima che possa essersi depositato in buona parte sui fondali marini determinando l’impoverimento degli stessi.
“Nei siti più vicini all’ex piattaforma la presenza di microbi era molto diminuita – spiega Leila Hamdan, ecologista microbica all’Università del Sud Mississippi e autrice dello studio – Si tratta di un ambiente estremamente freddo e oscuro dove qualsiasi cosa si depositi è destinata a durare molto più di quanto abbiamo visto sulle coste della Florida. Pertanto è difficile anche solo immaginare che tutti gli effetti legati allo sversamento siano finiti e completamente risolti”.
Un allarme che arriva proprio mentre il nuovo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, smantella l’ordinanza che Obama emise a ridosso del disastro della Horizon e che rimetteva al Governo federale la responsabilità di assicurare la protezione e la gestione oculata dei mari e dei Grandi laghi americani.
Un cambiamento voluto per alleggerire gli obblighi burocratici inerenti le nuove trivellazioni offshore ma che in molti temono favorirà una nuova ondata di installazioni d’estrazione anche in zone particolarmente sensibili, come ad esempio nell’Artico.
La palla ora passa alle opposizioni. Christy Goldfuss, ex consigliere all’ambiente di Obama si è appellato proprio ai nuovi responsabili del controllo e della salvaguardia del mare identificati dall’amministrazione Trump, ovvero i governi e le comunità locali: “In assenza di un Presidente che voglia affrontare le sfide del climate change – ha affermato Goldfuss – è ora più importante che mai che i governatori costieri, i leader delle comunità locali e gl’organi di governo dei singoli Stati lavorino insieme per difendere e recuperare la salute dei mari”.