Il trattato commerciale coinvolge 12 nazioni del Pacifico e vale il 40% del PIL globale. Ma per gli ambientalisti è un passo indietro nella politica climatica
(Rinnovabili.it) – Dopo 5 anni di negoziati è stato firmato ieri ad Auckland, dai ministri del Commercio di 12 Paesi del Pacifico, il TPP (Trans Pacific Partnership), l’accordo di libero scambio più ampio mai concluso. Secondo gli attivisti per il clima, il trattato rischia di abbattere le tutele ambientali e lasciare mano libera agli inquinatori.
I governi coinvolti sono USA, Nuova Zelanda, Giappone, Canada, Messico, Australia, Malesia, Singapore, Perù, Cile, Vietnam e Brunei. Ma affinché il patto entri effettivamente in vigore, ogni Paese deve ratificarlo con un voto parlamentare. Si tratta dell’ultimo e più complesso step del processo, quello in cui le opinioni pubbliche – in gran parte all’oscuro o contrarie al TPP – potrebbero convincere i propri eletti a non approvarlo. Le controversie maggiori hanno luogo negli Stati Uniti, politicamente divisi e tuttavia promotori del trattato.
Il presidente USA, Barack Obama, ha definito l’accordo capace di garantire «i più alti standard sul lavoro e gli impegni ambientali più forti della storia».
Ma le organizzazioni in difesa dell’ambiente e della società civile sono di tutt’altra opinione. Sebbene il contenuto dell’accordo resterà segreto per i prossimi 4 anni, il capitolo sull’ambiente potrebbe essere una fotocopia di quello divulgato da Wikileaks il 15 gennaio 2015.
Da esso si evince come l’abbattimento delle barriere non tariffarie – i regolamenti più stringenti per il commercio – su un’area che vale circa il 40% del PIL globale, impatterà su clima, biodiversità, foreste, pesca intensiva, commercio e investimenti in beni e servizi ambientali.
Perché il TPP non protegge il clima e l’ambiente
Le organizzazioni che si battono contro la ratifica del TPP ritengono che siano stati fissati standard labili e clausole deboli a protezione degli ecosistemi. Non riscontrano alcun impegno per contrastare il cambiamento climatico, nessuna disposizione vincolante o meccanismo di penalità.
È indicativo, in tal senso, il voto del Senato americano che il 24 giugno 2015 ha dato il via libera al fast track, la corsia preferenziale per l’agenda commerciale di Obama che permette di evitare la discussione in Congresso. Quel giorno, un emendamento dell’ultimo minuto firmato dal repubblicano Paul Ryan ha permesso di «assicurare che gli accordi commerciali non rechino obblighi per gli Stati Uniti in relazione al cambiamento climatico o al riscaldamento globale».
Secondo 350.org, organizzazione ambientalista fondata da Bill Mc Kibben, hanno definito il trattato «un regalo alle industrie fossili», che si fa beffe dell’accordo sul clima raggiunto alla COP 21 lo scorso dicembre.
Inoltre, il TPP riscrive le regole per la composizione delle controversie che dovessero sorgere in materia di ambiente. D’ora in poi, un’impresa che vedesse lese le proprie aspettative di profitto dalle normative nazionali potrà intentare una causa per danni al governo del Paese in cui ha investito, aggirando le corti locali in favore di tribunali privati e sovranazionali. Rinnovabili.it ha curato un approfondimento sul sistema dell’arbitrato internazionale (reperibile a questo link) in cui vengono messe in luce tutte le gravi implicazioni del processo.