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Come ridurre l’impronta ambientale delle filiere agroalimentari

Enea presenta i risultati di PEFMED, progetto transnazionale che aiuta le aziende di 9 sistemi regionali agroalimentari mediterranei a rendere verde la propria produzione

 

filiere agroalimentari

 

Olio d’oliva, vino, acqua in bottiglia, mangimi, salumi e formaggio:  6 fliere agroalimentari sorvegliate speciali

(Rinnovabili.it) – Anche le filiere agroalimentari hanno un ruolo definito nell’ecologizzazione dell’economia. Per comprendere quale esso sia, è però necessari conoscere il loro specifico impatto ambientale e trovare gli strumenti adatti per ridurlo. In Europa c’è un progetto innovativo creato esattamente con questo scopo. Parliamo di PEFMED, la più grande azione transnazionale dedicata a “rendere verdi” i sistemi produttivi regionali agroalimentari del Mediterraneo. Il progetto nasce nel 2016 grazie ai finanziamenti del programma Interreg MED e al coinvolgimento di oltre 200 imprese di sei Paesi, ossia Francia, Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, e Slovenia. Nei suoi quasi 30 mesi di operatività ha creato una rete di collaborazione fra centinaia di persone per promuovere interventi di eco innovazione mirati alla riduzione dell’impronta ambientale di sei prodotti di largo consumo: olio d’oliva, vino, acqua in bottiglia, mangimi, salumi e formaggio.

 

I risultati di questo immenso sforzo sono stati presentati ieri a Roma dall’Enea, coordinatrice del progetto. Il principale merito dell’iniziativa è quello di aver testato nelle filiere agroalimentari sopracitate il metodo europeo PEF (acronimo di Product Environmental Footprint) che tiene conto degli impatti ambientali di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla coltivazione delle materie prime, alla trasformazione, dal trasporto e all’uso, fino allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti. In questo modo è possibile non solo individuare le maggiori criticità sotto il profilo ambientale ma anche per promuovere la produzione di prodotti a basso impatto nel mercato europeo.

 

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Ma i partner hanno voluto compiere un passo in più personalizzando la metodologia di valutazione con una serie di indicatori socioeconomici relativi diritti umani, condizioni di lavoro, salute e sicurezza, patrimonio culturale, governance e impatti socio-economici. Ogni indicatore è riferito a uno specifico contesto territoriale, al fine di migliorare il paradigma della qualità e della sostenibilità della denominazione regionale. “Una vera e propria strategia di eco-innovazione e di marketing – spiega Caterina Rinaldi, ricercatrice ENEA e coordinatrice del progetto – in grado di individuare aree di intervento e soluzioni tecnologiche e gestionali e ridurre gli impatti sia ambientali che socio-economici di prodotto e filiera, con un’attenzione al territorio e agli strumenti di politica economica disponibili”.

 

In Italia PEFMED ha coinvolto anche Federalimentare a cui è andato il ruolo di coordinatrice delle iniziative di trasferimento tecnologico. Ed è proprio il suo presidente Ivano Vacondio ha riassumere i nodi da sciogliere in prossimo futuro. “Permangono aree da sviluppare ulteriormente, per consentire un uso credibile e di successo della PEF – afferma Vacondio – Solo per citarne alcune: è necessario sviluppare ulteriormente le regole di categoria di prodotto (le PEFCR), aumentare la rappresentatività delle banche dati e rendere la PEF fattibile anche per le piccole e medie imprese (PMI). Dal punto di vista della comunicazione, le informazioni basate sulla PEF devono essere volontarie e off-pack”.

 

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