Tutti attendono la cerimonia di aprile a New York per dare avvio alle disposizioni dell'accordo sul clima. Le isole Fiji giocano d'anticipo
(Rinnovabili.it) – Il primo Paese al mondo a ratificare l’accordo sul clima raggiunto il 12 dicembre alla COP 21 sono le Fiji. Mentre l’Unione europea nicchia sugli obiettivi più stringenti e gli Stati Uniti sono stretti nella morsa della Corte Suprema che ha bloccato il piano energetico di Obama, l’esempio viene ancora una volta dai Paesi più a rischio. Il Parlamento del piccolo Stato insulare ha dato il via libera alla mozione proposta dal procuratore generale del Paese, Aiyaz Sayed Khaiyum. Questi aveva proposto di ratificare il trattato prima della cerimonia prevista in aprile a New York.
Khaiyum ha detto che affrontare i cambiamenti climatici rappresenta una priorità per l’arcipelago. Le Fiji affronteranno inondazioni su vasta scala, tempeste tropicali feroci, perdita di biodiversità marina.
Con questa mossa, il piccolo Stato insulare spera di accelerare il processo post-Parigi, che al momento è legato ad un filo: per entrare in vigore, infatti, è necessario che almeno 55 Paesi su 195 ratifichino il trattato. Non solo: questi 55 Paesi devono rappresentare almeno il 55% delle emissioni di CO2 globali, o le disposizioni dell’accordo non si inizieranno ad applicare. Gli osservatori sono fiduciosi che il traguardo possa essere raggiunto già per l’evento di New York, dato tutte le principali economie mondiali ha espresso pieno sostegno all’accordo di Parigi al vertice dello scorso anno nella capitale francese. Il passato, tuttavia, non permette facili entusiasmi. Per entrare in vigore, il Protocollo di Kyoto ha dovuto attendere 8 anni dalla firma, poiché mancavano le condizioni minime.
La spinta delle Fiji verso un’azione climatica rapida e profonda non è meramente propagandistica. Il Paese infatti ha un piano di tutto rispetto per la propria transizione energetica: è impegnato a generare il 100% della sua elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030. Inoltre, ha promesso di ridurre le emissioni complessive dal settore energetico di un 30% entro il 2030 rispetto ad uno scenario business as usual. L’unico problema è che le isole, da sole, non ce la fanno. Hanno subordinato l’impegno alla ricezione di finanziamenti per il clima da parte delle nazioni industrializzate. Finanziamenti che dovrebbero ammontare a 100 miliardi di dollari nel 2020, ma che per il momento sono distanti dall’obiettivo.