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Everest Biogas Project, le deiezioni degli scalatori producono energia

In fase di realizzazione uno speciale biodigestore in grado di funzionare anche alle basse temperature del Gorak Shep

Everest Biogas Project, le deiezioni degli scalatori producono energia

 

(Rinnovabili.it) – Decenni di alpinismo hanno messo a dura prova il Tetto del mondo. In oltre sessant’anni di scalate e spedizioni sono state abbandonate sul Monte Everest almeno 60 tonnellate di spazzatura; rifiuti che, in parte a causa della loro natura, in parte per il freddo estremo, non riescono a decomporsi. Per affrontare in maniera decisa il problema vige una nuova regola: ogni alpinista che salga oltre il campo base dovrà riportare indietro almeno 8 kg d’immondizia, oltre a quella generata personalmente.

La questione tuttavia non riguarda solo rifiuti come bombole di ossigeno, tende, bicchieri, lattine di birra o plastica (tra i principali lasciti delle arrampicate) ma anche le deiezioni umane. Ma se per la prima categoria una corretta gestione – tramite recupero o riciclo – è una prassi ormai consolidata, non si può dire lo stesso per le feci; si calcola annualmente un totale di ben 12mila chili di escrementi prelevati presso i campi base di Everest e delle vicine montagne Pumori, Lhotse e Nuptse e abbandonati in fosse a cielo aperto sul Gorak Shep, il letto di un lago ghiacciato coperto di sabbia del Nepal.

 

Da queste considerazioni nasce l’Everest Biogas Project. Un team di ingegneri volontari ha realizzato un bioreattore in grado di lavorare alle rigide temperature del Gorak Shep e produrre biometano da reindirizzare ad un villaggio nelle vicinanze. La squadra ha studiato una soluzione avendo come obiettivo l’utilizzo esclusivo di materiale facilmente reperibili a Kathmandu, capitale del Nepal. Piuttosto che costruire qualcosa da zero, hanno deciso di capire un modo per isolare il progetto preesistente, e trasformarlo in un impianto di trattamento dei rifiuti. La fine dei lavori è prevista per il 2016. “Il nostro intento è quello di costruire un impianto, metterlo in esecuzione, formare operatori e i locali” per renderli autonomi nella gestione del progetto. “Ma avremo persone a Seattle e Kathmandu che potranno in ogni momento fornire supporto tecnico”. E in caso di successo, il progetto potrebbe essere replicato in altri luoghi troppo freddi per i digestori tradizionali.