Fino ad ora l'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti aveva sempre negato che le operazioni di fratturazione idraulica potessero danneggiare l’ambiente
(Rinnovabili.it) – Il fracking per l’estrazione di idrocarburi non convenzionali può contaminare le acque di falda “in alcune circostanze”. Lo scrive l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA) in un rapporto pubblicato ieri che riassume 5 anni di ricerche e analisi. L’apertura è minima, ma molto importante: infatti fino ad ora l’EPA aveva sempre negato che le operazioni di fratturazione idraulica potessero danneggiare l’ambiente.
Il nuovo rapporto sostituisce il precedente, dove si sosteneva che il fracking non causa “effetti diffusi e sistemici” nocivi per l’acqua potabile in tutto il paese. Anche se l’EPA continua a non prendere una posizione chiara, i nuovi dati contenuti nel report potranno essere usati dalle amministrazioni locali per tutelare la salute e le risorse idriche.
Il nuovo parere arriva a poche settimane dal termine del mandato del presidente Obama. Visto che il suo successore, Donald Trump, ha promesso di smantellare l’Agenzia e di dare priorità ai combustibili fossili, questa decisione potrebbe essere l’ultimo paletto cui gli americani si potranno appigliare per i prossimi 4 anni. Tant’è vero che ha mandato su tutte le furie l’American Petroleum Institute: “E’ oltre l’assurdo che l’amministrazione abbia cambiato orientamento adesso che sta per uscire di scena”.
La fratturazione idraulica, però, non è un pericolo soltanto per le falde acquifere. Consiste nello scarico ad altissima pressione, nel sottosuolo, delle acque usate per il fracking. Questi fluidi, composti da acqua, sabbia e sostanze chimiche – molte delle quali tossiche – vengono prima parzialmente risucchiati insieme al gas. Una volta recuperati gli idrocarburi, vengono poi definitivamente smaltiti in formazioni rocciose profonde. L’intero procedimento, tralasciando le emissioni e le ricadute sul riscaldamento globale, è anche strettamente legato ai terremoti.
La prova più evidente è la situazione sismica dell’Oklahoma. A settembre è avvenuto il terremoto più forte della sua storia (magnitudo 5,6), e oggi trema a un ritmo 600 volte maggiore di quello precedente il 2008, in media 2,5 scosse al giorno superiori ai 3 gradi di magnitudo. Storicamente, il quell’area il livello 3 veniva superato solo due volte l’anno: negli ultimi due, invece, l’asticella ha fatto un balzo in avanti. Basti pensare che il numero di terremoti del 2014-2015 è quasi pari a quello registrato per l’intero millennio precedente.