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L’enzima mangia plastica ci libererà dell’inquinamento del PET?

Gli scienziati hanno ingegnerizzato un enzima batterico migliorando la sua capacità di degradare i rifiuti plastici

enzima mangia plastica

 

Migliorata l’efficienza del PETase, l’enzima mangia plastica dell’Ideonella sakaiensis 201-F6

(Rinnovabili.it) – Una delle principali soluzioni al dilagante inquinamento da plastica è la prevenzione: saper gestire in maniera corretta i rifiuti favorendo il riciclo di materiali. Ma quanto sono efficienti le attuali tecnologie di trattamento? Abbastanza ma potrebbero esserlo di più, secondo gli scienziati dell’Università di Portsmouth. I ricercatori, in collaborazione con i colleghi National Renewable Energy Laboratory (NREL), hanno creato in laboratorio, quasi per caso, una nuova arma contro i rifiuti polimerici di origine fossile: un enzima mangia plastica.

 

Il gruppo di ricercatori stava studiando la struttura cristallina del PETase, un enzima naturale appartenente a un batterio, scoperto di recente in Giappone, che prolifera tra i rifiuti plastici. Il metabolismo di questo microorganismo – battezzato con il nome di Ideonella sakaiensis 201-F6 – si è evoluto in pochissimi anni in maniera tale da riuscire a digerire il PET (polietilene tereftalato) per ottenere il carbonio di cui ha bisogno. In altre parole ha fatto di necessità, virtù adattando la sua alimentazione all’elemento più frequente del suo ambiente: la plastica.

Prima della scoperta dell’Ideonella sakaiensis 201-F6 (anno 2016), gli unici organismi di cui si conosceva la capacità di degradare polimeri plastici, erano i funghi.

 

Per “mangiare” il PET e scomporlo in molecole più semplici e più rispettose dell’ambiente, il batterio impiega solo due enzimi: il PETase, per l’appunto, che degrada la plastica in un composto chiamato MHET e il MHETase che riduce quest’ultimo in acido tereftalico. È a questo punto che s’inserisce il lavoro dei ricercatori statunitensi. Il team voleva studiare la struttura dell’enzima mangia plastica per comprenderne l’evoluzione e, un giorno, essere in grado di potenziarlo. Ma intervenendo sulla sua struttura durante l’analisi sono riusciti involontariamente a migliorarne l’efficacia.

 

“La serendipità svolge spesso un ruolo significativo nella ricerca scientifica e la nostra scoperta qui non fa eccezione”, ha affermato John McGeehan dell’Università di Portsmouth. “Sebbene il miglioramento sia modesto, questa scoperta inaspettata suggerisce che c’è ancora spazio per migliorare ulteriormente questi enzimi, avvicinandoci a una soluzione di riciclaggio per la montagna di plastica buttata in continua crescita”. L’enzima mangia plastica ingegnerizzato ha l’ulteriore vantaggio di poter degradare non solo il PET (componente principale delle nostre bottiglie d’acqua – ma anche il polietilene furandicarbossilato (PEF). Il team sta ora lavorando per continuare a perfezionare la molecola e renderla in grado di digerire altri rifiuti plastici.

“Sarà interessante vedere se, sulla base di questo studio, le prestazioni dell’enzima possano essere migliorate e rese idonee per l’applicazione su scala industriale nel campo del riciclaggio e nella futura economia circolare della plastica”.