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Energia, la sfida

Creare le condizioni per la nascita del futuro sistema energetico, un sistema più sicuro, con minori emissioni e che non freni lo sviluppo economico globale. Questi gli affascinanti temi su cui ruota l’ultimo libro di Federico Rossi

Trattare, nel modo più semplice possibile, la questione energetica. Per fornire le conoscenze e le chiavi di lettura dei fenomeni e degli accadimenti in materia energetica, non soltanto  agli studenti –  delle facoltà di ingegneria e  di altri corsi di studio –  ma anche a quanti operano nel  settore oppure  si interessano, con passione, a un tema di grande attualità  e impatto sociale, come l’energia. E’ l’obiettivo di “Energia: quale futuro”, l’ultima fatica scientifico – letteraria di Federico Rossi, professore ordinario di Gestione dei Sistemi Energetici  presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II di Napoli. Il testo di Rossi – che, nella sua lunga carriera, è stato, fra l’altro, Rettore dell’Università di Cassino e segretario generale della CRUI, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Università e della Ricerca nel Governo Dini, Presidente della Rete Nazionale dei Nuclei di Valutazione  e verifica degli Investimenti Pubblici, componente del Consiglio di Amministrazione del CNR ove, da Vicepresidente ha assunto, per un certo periodo, le funzioni di Presidente –  analizza la nuova transizione energetica, definendo i contorni della sfida che  investe l’intero pianeta: come creare le condizioni per un sistema energetico più sicuro e con minori emissioni di CO2, senza frenare lo sviluppo economico globale? Rinnovabili.it, ha chiesto al professor Rossi  di accompagnare i lettori nel percorso che lui stesso ha seguito per individuare possibili risposte, sulla base  della sua  prestigiosa esperienza.

Professore,  nel libro Lei sottolinea la necessità  di una politica energetica globale. Perché?

Negli ultimi tempi, si sta finalmente affermando la consapevolezza della multidimensionalità del concetto di sviluppo: il benessere di un paese  non può essere misurato solo attraverso la crescita economica, ma anche attraverso la crescita sociale e la crescita della protezione ambientale. Tutte le politiche settoriali devono muoversi in questa direzione; tra queste, le politiche dell’energia assumono un ruolo cruciale.

I due aspetti che l’energia presenta, quello positivo dei benefici che arreca alla crescita economica e quello negativo dell’impatto che ha sull’ambiente, devono essere pesati, nella costruzione delle politiche, con lo stessa importanza. Questo per lungo tempo non è avvenuto: a partire dall’avvento della rivoluzione industriale, si è assistito a una sempre più massiccia utilizzazione di fonti di energia esauribili, facendo del soddisfacimento, ai minimi costi, di una domanda sempre crescente l’obiettivo prioritario delle politiche energetiche. La situazione che si è venuta a determinare, privilegiando il ruolo dell’energia come fattore propulsivo dello sviluppo economico, ha aumentato la disponibilità di beni materiali, ma ha anche posto le basi delle disparità attuali nei livelli di sviluppo tra le nazioni; essa, inoltre, ha esercitato una pressione via via crescente sul capitale naturale con perdita della qualità ambientale.

È una situazione, questa, che desta forti preoccupazioni. Su tutte, da qualche anno, quella relativa al riscaldamento globale del pianeta causato dal fenomeno dell’effetto serra che, come è noto, si manifesta a scala territoriale planetaria.

E non può essere diversamente, se si pensa che, per i prossimi anni, è previsto un aumento consistente dei consumi, soprattutto nei Paesi non-OCSE, e che a tale aumento si farà fronte con una sempre maggiore utilizzazione dei combustibili fossili. I consumi, dunque, vanno limitati, e vanno limitati in modo che le emissioni non portino la temperatura globale del pianeta a valori inaccettabili. Da qui, la necessità condivisa che la politica dell’energia trascenda i confini nazionali per assumere una dimensione globale. Una politica che, attraverso un grande processo di cambiamento, non solo di tipo scientifico e tecnologico, ma anche economico, sociale e istituzionale,contribuisca a portare tutto il mondo verso un sentiero di sviluppo sostenibile.

Come può avvenire questo?

Non si può certamente puntare su un modello di sostenibilità unico. È necessario comporre più modelli di sostenibilità, disegnati a partire dalle caratteristiche specifiche attuali dei singoli paesi. I paesi ricchi, che hanno ampiamente superato la capacità di carico del proprio ambiente, devono trovare l’insieme delle condizioni che rendano possibile indirizzare l’attuale modello verso uno più compatibile con le risorse ecologiche del pianeta. I paesi in via di sviluppo e quelli con economia in transizione verso un’economia di mercato devono ricostruire un sentiero di crescita, economica e sociale, meno distruttivo. I paesi ancora più poveri devono iniziare a crescere incanalando, da subito, il loro sviluppo sui binari giusti.

Ciò comporta che i limiti sulle emissioni non possono essere uniformi per tutte le nazioni, e comporta anche che i paesi più ricchi, in base al principio di equità, mettano a disposizione della comunità internazionale tutte le risorse finanziarie, le tecnologie e le competenze necessarie. Ovviamente, per attuare la politica descritta, occorrono tempi lunghi. Bisogna dunque saper attendere, ponendo sempre grande attenzione al problema della sicurezza degli approvvigionamenti, che è una mina contro la competitività dei sistemi economici. Ciò significa che le politiche nazionali non potranno non prendere atto che i combustibili fossili ci accompagneranno ancora per molto tempo e battersi per un loro uso più sostenibile.

Ma come si fa a governare una tale politica?

Trattandosi di una politica globale, il processo deve necessariamente partire da decisioni assunte a livello planetario, che devono, poi, essere trasferite, via via, fino al livello di governo più prossimo ai territori, dove le decisioni si trasformano in azioni concrete. È l’applicazione del principio di sussidiarietà, nelle sue declinazioni verticale ed orizzontale, che deve guidare tale processo.

Lei parla di “una sfida dagli esiti incerti”. Perché?

Creare le condizioni per sviluppare un sistema energetico più pulito senza compromettere o frenare lo sviluppo economico è certamente una grande sfida. Una sfida dagli esiti incerti: perché essa può esser vinta solo se si affermano un grande senso di responsabilità collettiva e un forte spirito di solidarietà, e perché tali valori ancora stentano ad imporsi nel mondo di oggi.

Quali sono le opportunità offerte da un cambiamento così forte?

La grande opportunità è quella di migliorare la qualità della vita, per la nostra e per le generazioni future. Inoltre, ogni grande cambiamento ha in sé le potenzialità per creare ricchezza e sviluppo occupazionale. Sfrutteranno tali potenzialità quei paesi che, integrando le politiche energetico – ambientali con le politiche industriali e della ricerca, sapranno portare avanti un’opera di trasformazione strutturale dei sistemi produttivi che veda la sostenibilità come un qualcosa di endogeno ai processi di sviluppo. Come già sta avvenendo in paesi come la Germania, ove l’affermarsi della clean economy ha consentito di raggiungere un grado di competitività tale da conquistare posizioni di punta nei mercati mondiali.

Fra le varie misure di mitigazione, qual è quella più importante?

Non v’è dubbio che le misure con il maggior potenziale economico di mitigazione sono quelle relative all’efficienza energetica, da attuarsi soprattutto negli usi finali in tutti i settori di consumo, in particolare nel settore del residenziale-terziario. Fondamentale è il ruolo della pubblica amministrazione, che deve essere di esempio e stimolo per tutti nella riduzione dei consumi, liberando, tra l’altro, risorse pubbliche da destinare ad altri fini.

Quali barriere si frappongono alla realizzazione degli obiettivi?

Esistono numerose barriere, che pesano in modo diverso a seconda dell’opzione strategica che si considera: barriere economiche, di mercato, di accettabilità sociale, informative, oltre che barriere legate a comportamenti erronei dei consumatori.

Come tentare di abbatterle?

C’è un insieme ampio e variegato di strumenti capaci di disincentivare alcuni comportamenti ed incentivarne altri. La scelta degli strumenti più idonei, la loro combinazione ottimale, la loro calibratura, l’individuazione dei destinatari, le modalità di gestione, sono tutti elementi che vanno a delineare un vero e proprio sistema regolatorio. Un sistema che è specifico di ciascun paese: la capacità di assicurare la coerenza tra fini e mezzi dipende dal contesto in cui si opera, poiché è questo che rende, tra l’altro, diverse le implicazioni di carattere distributivo e l’accettabilità sotto il profilo politico.

Come rendere efficaci tali strumenti?

E’indispensabile che tutti gli strumenti siano applicati all’interno di una cornice normativa stabile, chiara e burocraticamente snella, che solo un rapporto cooperativo tra autorità governative, imprese e pubblica amministrazione può creare. E’ necessario, poi, che essi siano periodicamente monitorati in modo da poterli eventualmente correggere o ricalibrare in funzione della valutazione del loro grado di efficacia, efficienza e sostenibilità economica. Ma, al di là del sistema regolatorio che si può impiantare, bisogna convincersi che la priorità è quella di puntare su una seria e costante attività di educazione e di formazione professionale.

Lei non dà un giudizio lusinghiero sulla politica energetica italiana. Perché?

Per l’Italia, che presenta una situazione energetica molto più difficile di quella europea, non si può non rilevare che, a fronte di criticità strutturali importanti, manca una politica adeguata. Manca, cioè, una politica che, a partire da un quadro di riferimento che sia chiaro e stabile a prescindere da chi governa, sappia decidere velocemente e portare avanti, senza tentennamenti e ripensamenti, le decisioni prese. Una politica che voglia e sappia concepire le relazioni con i vari livelli di governo in modo coordinato e sussidiario. Una politica che sappia investire sul futuro, sgombrando il campo dalla convinzione che gli investimenti a redditività differita, come quelli in istruzione, formazione e ricerca, non portano consensi elettorali. Una politica che sia capace di unificare i momenti di governo dei processi innovativi e che, quindi, sia capace di portare a sintesi, su un orizzonte temporale fissato, una pluralità di strategie proprie di settori diversi. Una politica, infine, che intenda la pratica della valutazione come processo di apprendimento per migliorarsi, superando gradualmente la concezione, abbastanza diffusa, che vede la valutazione come un qualcosa di esterno al processo di costruzione e attuazione degli interventi.

È da tutto quanto detto che deriva quel continuo accavallarsi di norme, frammentate, non coordinate, frequentemente contraddittorie, continuamente sottoposte a revisione, spesso illeggibili, che induce periodi di stallo, conflittualità, tensioni sociali, perdita di fiducia, sprechi.

La sensazione forte è che si improvvisi, anche sulla spinta di interessi corporativi che da più parti si manifestano. Ma procedere a vista, senza linee strategiche chiaramente definite, non è certamente il modo migliore per rispettare le decisioni europee, che appaiono spesso subite piuttosto che condivise, per cogliere le opportunità offerte dalla clean economy, per affrontare in maniera consapevole il problema della sicurezza degli approvvigionamenti, per rendere efficienti i mercati dell’energia.

Quando parla della scarsa capacità di concepire le relazioni con i vari livelli di governo in modo coordinato e sussidiario, a cosa in particolare si riferisce?

Mi riferisco in particolare alla scarsa capacità di sapere integrare le politiche nazionali con le politiche territoriali. Il caso dell’energia rappresenta un esempio paradigmatico della difficoltà di gestire il rapporto tra diversi livelli decisionali quando la definizione dei ruoli e delle competenze è poco chiara. Ci sono, infatti, materie nelle competenze concorrenti che intersecano trasversalmente materie di competenza esclusive dello Stato: la tutela dell’ambiente, la tutela della concorrenza, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Ciò comporta che, in mancanza di un quadro di principi generali nell’ambito del quale le Regioni devono legiferare, ciascun livello si senta autorizzato a prendere decisioni autonome, considerando ogni opposizione come una violazione dei propri diritti. Da qui, un caos istituzionale che comporta una forte conflittualità, così come testimoniato dalla consistenza del contenzioso costituzionale. Contenzioso che si traduce, a sua volta, in ostacoli e ritardi nella realizzazione di qualsiasi infrastruttura, e che inasprisce, sempre di più, l’eterno dibattito tra chi ritiene che le competenze in materia energetica vadano collocate a livello centrale e chi, invece, ritiene che vadano collocate a livello territoriale. Sono, queste, due posizioni estreme che non portano molto lontano: la materia energetica può essere adeguatamente trattata solo attraverso il concorso sostanziale delle potestà normative relative ai vari livelli di governo. Quello che sembra, quindi, realmente necessario è istituzionalizzare sedi e procedure di codecisione politica, cercando il consenso attraverso un approccio diretto con il territorio. Ma questo è, per il momento, un sogno, quello raccontato nell’ultimo paragrafo del libro.