Da Polly Higgings a Stop Ecocide, la lunga battaglia per il riconoscimento dell’ecocidio come quinto crimine internazionale.
(Rinnovabili.it) – Polly Higgins era un’avvocatessa scozzese che, ad un certo punto della sua vita, lasciò la carriera e la toga per concentrarsi sulla difesa dell’ambiente e, soprattutto, sulla sua personale lotta per ottenere dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia il riconoscimento dell’ecocidio come crimine internazionale contro la pace. Si trattava di una causa che, per Higgings, avrebbe potuto davvero cambiare il mondo, fornendo uno strumento fondamentale per affrontare il cambiamento climatico e richiamare alle loro responsabilità governi e aziende.
Attualmente la Corte Internazionale dell’Aia ha il compito di perseguire come “crimini contro la pace” quattro tipi di reati: i crimini di guerra, crimini contro l’umanità, il genocidio e crimini di aggressione. L’ecocidio, nelle visioni di Higgins, sarebbe stato il quinto, colmando così una lacuna che non riconosce quanto e come i crimini ambientali su larga scala possano essere equiparati a violazioni volontarie dei diritti umani o a vere e proprie azioni belliche. Oggi, la lotta per il riconoscimento dell’ecocidio come crimine contro l’umanità trova degli eredi nel gruppo Stop Ecocide: Change the Law che, sotto la guida della sua co-fondatrice Jojo Mehta, sta contribuendo a far diventare il sogno di Higgings una realtà.
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Ad aprile, durante la riunione annuale dell’Assemblea degli Stati membri della Corte Penale Internazionale dell’Aja, l’ambasciatore europeo John Licht a Vanuatu (isola del Pacifico in cui Higgings aveva lavorato per registrare le conseguenze dei cambiamenti climatici) ha invitato il tribunale a prendere in considerazione la formalizzazione del crimine di ecocidio, chiedendo un emendamento allo Statuto di Roma. Secondo Stop Ecocide, infatti, la legge attuale pecca di eccessivo antropocentrismo e, concentrandosi solo sugli umani, lo Statuto di Roma sta di fatto ignorando i diritti e la partecipazione dell’umanità alla natura. Attualmente, le accuse penali nel tribunale internazionale riguardano solo vittime umane. Secondo questa logica, anche se l’intera foresta pluviale amazzonica fosse distrutta domani, ma senza nessun danno diretto a persone, il governo Bolsonaro non sarebbe responsabile di un crimine internazionale. “È la Terra stessa che ha bisogno di un ottimo avvocato”, è lo slogan di Stop Ecocide.
Come ha sempre sostenuto Higgins, però, il procedimento per ottenere il riconoscimento dell’ecocidio è piuttosto semplice: almeno uno degli Stati membri della Corte dell’Aia deve proporre un emendamento allo Statuto di Roma. Una volta proposto, questo richiederebbe che i 2/3 dei 122 Stati membri della Corte Penale Internazionale lo approvassero. Una volta ottenuta l’approvazione, i singoli Stati membri dovrebbero adottare e applicare la legge. Ma c’è di più. Perché date queste condizioni, anche se grandi attori come Stati Uniti o Brasile rifiutassero la ratifica e rappresentassero la minoranza, sarebbero comunque responsabili delle possibili pratiche di ecocidio per le nazioni che hanno adottato l’emendamento.
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In realtà, ci sono già dei segnali che lasciano intendere che la Corte Penale Internazionale sia pronta ad accettare l’ecocidio come quinto reato di crimine internazionale. Infatti, nel 2016 il tribunale dell’Aia ha pubblicato un documento in cui affermava che il suo pubblico ministero avrebbe preso in considerazione il perseguimento di reati commessi attraverso “la distruzione dell’ambiente, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali o l’espropriazione illegale di terreni“. Tuttavia, il documento consente efficacemente al tribunale di processare reati ambientali ma non in assenza di vittime umane.
Al tempo stesso, però, non mancano le critiche al riconoscimento dell’ecocidio, dipendenti soprattutto da una valutazione dell’efficacia della Corte Internazionale. Dalla sua istituzione nel 2002, infatti, il tribunale ha perseguito solo 27 casi di crimini contro la pace e solo sei imputati sono stati infine condannati. Tutti questi casi si riferiscono ad attività criminali accadute in Africa, facendo nascere il dubbio che la Corte si concentri in modo sproporzionato sui paesi in via di sviluppo. La ragione di questa tendenza sarebbe semplice: il peso internazionale dei paesi occidentali.
Tuttavia, secondo Stop Ecocide, la valenza del tribunale dell’Aia non è tale solo per i procedimenti giudiziari, ma anche per creare uno “stigma” e un danno alla reputazione che, se l’ecocidio fosse riconosciuto come crimine internazionale, potrebbero anche agire da deterrenti. Grazie all’apporto dell’ambasciatore europeo a Vanuatu e all’attenzione internazionale sempre più crescente sui temi del cambiamento climatico, Stop Ecocide ritiene che si possa essere ottimisti riguardo alla possibilità che l’emendamento sull’ecocidio sia formalmente presentato alla Corte Penale Internazionale alla prossima assemblea del dicembre 2020.