(Rinnovabili.it) – Se si esplora l’elenco dei comuni italiani è difficile trovarne uno che, nel corso degli ultimi settant’anni, non sia stato investito da piogge improvvise e intense che provocano frane e allagamenti. Portandosi via le speranze e le fatiche riposte nelle case, nei negozi, nei campi, nelle officine, e portandosi via vite umane: decine ogni anno.
Gli intensi e improvvisi eventi climatici sono dovuti all’innegabile cambiamento del nostro pianeta; sono oltre cento anno che gli studiosi avvertono che la modificazione chimica dell’atmosfera, dovuta ai gas emessi dalle attività umane, trattiene una frazione del calore solare dentro l’atmosfera e provoca un riscaldamento delle acque degli oceani e dei mari e quindi una modificazione del clima dei continenti. I gas che modificano il clima sono il risultato del progresso economico, della crescente quantità di combustibili fossili impiegati per scaldare e raffreddare le abitazioni, per far correre un miliardo di autoveicoli sulle strade, per produrre frumento e acciaio, materie plastiche e alimenti in scatola, tutti i beni irrinunciabili in una società moderna.
I mutamenti climatici si traducono in periodi di siccità e di piogge intense; l’acqua che evapora dagli oceani si disperde nell’atmosfera e precipita in alcune zone con intensità come mai si era verificata prima. Quante volte abbiamo sentito ripetere che non ci sono più le stagioni “come una volta”. L’acqua delle piogge, per legge di natura, scende dalle montagne e colline verso il mare cercando le sue vie di scorrimento sotto forma di fossi, torrenti, fiumi.
Nel caso dell’Italia le piogge cadono su un territorio già fragile geologicamente e reso ancora più fragile dall’altro volto del progresso; la crescita economica ha fatto nascere abitazioni, edifici, campi sportivi, strade, ponti dove era “economicamente” più conveniente, ha imprigionato fiumi e torrenti in alvei artificiali o canali sotterranei, per sfruttare a fini edilizi le pregiate zone di espansione naturale dei fiumi. I campi coltivati si sono estesi in zone che una volta erano coperte da boschi e attraversate da fossi. Le opere umane hanno così creato crescenti ostacoli che le acque, quando non trovano più le loro strade naturali di scorrimento, non esitano a occupare e spazzare via in maniera violenta.
Questa la diagnosi degli eventi sotto i nostri occhi. Non è pensabile che possano ora essere rimossi gli ostacoli ormai esistenti, si potrebbe al più non ricostruire dove si capisce che l’acqua cerca le sue strade di discesa. Si potrebbe almeno, da un certo momento in avanti, in questa frenesia di nuove opere pubbliche e private, costruire soltanto in modo da evitare gli errori del passato, accettando con coraggio di dire “no” ai proprietari dei suoli a rischio idrogeologico. Si chiamerebbe pianificazione territoriale, figurarsi!
Ma almeno sul governo di fiumi e torrenti si potrebbe intervenire. Quando non erano stati ancora inventati i ministeri delle infrastrutture e dell’ambiente, esisteva il ministero dei lavori pubblici, “pubblici”, appunto, cioè fatti dallo stato nell’interesse collettivo. In questo ambito esistevano dei servizi che si occupavano del controllo delle acque. Nell’ambito delle riforme istituzionali di cui tanto si parla, sarebbe utile la creazione di un servizio di ”sentinelle” del territorio, col compito di avvertire quando aumenta la velocità del moto delle acque, di controllare fossi, torrenti e fiumi, di tenere libero il loro greto da ostacoli e alberi.
Per queste sentinelle potrebbero essere impiegati giovani e lavoratori disoccupati e immigrati oggi sbattuti da un luogo all’altro alla ricerca di lavori precari. Una simile operazione non comporterebbe inaugurazioni e cerimonie riprese dalla televisione, non arrecherebbe alcuna gloria ai governanti, anzi, peggio, costerebbe oggi e non produrrebbe nessun reddito. Ma anche i danni dovuti a frane e alluvioni costano, oltre a dolori e distruzione di ricchezze private, denaro pubblico, alcuni miliardi di euro all’anno, circa un punto di PIL all’anno.
Un servizio di sentinelle delle acque e di difesa del suolo non eviterebbe domani, o fra un anno, o fra un decennio, la distruzione di edifici e di strade costruite in passato dove non si doveva, ma sarebbe un investimento per evitare o almeno diminuire i costi che l’Italia dovrà pagare di certo in futuro.
Si parla tanto di programmi per “cento giorni” poi per “mille giorni”. I “cento giorni” furono inventati da Roosevelt nel 1933 per i suoi programmi di rinascita dell’America in ginocchio per la crisi, ma in quei cento giorni Roosevelt avviò subito delle opere e reclutò disoccupati per la difesa del suolo, per la regolazione del corso dei fiumi, per la rinascita dei campi devastati da alluvioni e siccità. E l’America si rimise in piedi.