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Droni e satelliti sfruttati per ripescare 40 tonnellate di plastica in mare

plastica in mareObiettivo primario della spedizione era il recupero delle ghost nets, le reti fantasma che intrappolano parte dei rifiuti di plastica in mare e causano danni alla fauna marina

 

(Rinnovabili.it) – Si è conclusa con un successo la spedizione dell’Ocean Voyages Institute, un gruppo ambientalista che ha sperimentato per la prima volta l’utilizzo di droni e immagini satellitari per recuperare grandi quantità di rifiuti di plastica in mare: al termine di un viaggio di 25 giorni, i volontari della OVI hanno raccolto 40 tonnellate di scarti dal cosiddetto Great Pacific Garbage Patch, l’isola di rifiuti galleggiante più grande al mondo in costante movimento tra le coste della California e le Hawaii.

 

“Abbiamo completato la missione di pulizia degli oceani più grande e di successo della storia”,commentano soddisfatti gli attivisti: l’impresa puntava soprattutto al recupero delle reti fantasma (le ghost nets), grandi ammassi di nylon che intrappolano altri rifiuti e possono causare gravi danni alla fauna marina. Durante la missione è stata recuperata una rete dal peso record di 8 tonnellate e un’altra da 5 tonnellate.

 

Ma il “bottino” della spedizione è stato molto più variegato: gli “spazzini” dell’OVI hanno raccolto bottiglie di detersivo, casse di birra, bibite, candeggina, bottiglie per la pulizia, mobili di plastica, cinghie da imballaggio, secchi, giocattoli per bambini e decine di altri tipi di plastica che galleggiano nel mezzo dell’oceano.

plastica in mare

 

Il successo della spedizione è frutto di una programmazione durata anni: gli attivisti dell’OVI hanno contattato armatori e pescatori per chiedere loro di installare piccoli segnalatori GPS sugl’ammassi di plastica che incontravano durante le loro uscite in mare. Una volta attivati, i segnalatori hanno fornito l’esatta posizione dei cumuli di detriti mostrando anche le zone in cui tendono a concentrarsi di più.

 

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Circa 1,5 tonnellate dei rifiuti raccolti verranno donati agli studenti d’arte dell’Università delle Hawaii che realizzeranno statue e installazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, mentre il resto delle 40 tonnellate di plastica recuperata verrà trattata presso lo stabilimento Schintzer Steel e inviato alla centrale energetica hawaiana H-POWER per essere convertito in elettricità.

 

L’enorme quantitativo di plastica raccolto (equivalente al peso di 24 auto) resta una piccolissima percentuale di quella che ogni anno viene riversata negli oceani (alcune stime parlano di una quantità tra l’1,15 e le 2,141 milioni di tonnellate). Di questa, circa 600 mila tonnellate sono composte da reti perse o abbandonate. Secondo una stima dell’ONU, almeno 380 tra pesci e mammiferi marini vengono uccisi ogni anno dopo essere rimasti intrappolati o aver ingerito pezzi delle reti fantasma.

 

Nel 2020, l’equipaggio dell’OVI punta a una nuova missione, stavolta della durata di 3 mesi, sempre utilizzando il tracciamento satellitare e l’impiego di droni per il recupero anche delle più piccole concentrazioni di plastica galleggiante.

 

“E’ alquanto disturbante solcare quello che una volta era un oceano selvaggio e incontaminato e trovarlo pieno di spazzatura fin troppo familiare– ha commentato Mary Crowley, fondatrice e direttrice esecutiva dell’OV Institute – Sono necessarie azioni urgenti a tutti i livelli: bisogna limitare la produzione di materie plastiche usa e getta, evitare che la spazzatura entri negl’oceani, veicolare contenuti d’istruzione, innovazione, prevenzione e pratiche di pulizia su larga e piccola scala alle popolazioni, alle società e all’industria marittima. La domanda che dobbiamo farci è: siamo pronti a fare della protezione del 72% del Pianeta una nostra priorità?”

 

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