Il taglio della CO2 va oltre le aspettative, ma non basta. In estrema sintesi, è quanto sostiene la Fondazione per lo sviluppo sostenibile con il suo “Dossier clima 2014” presentato stamattina nella sede di Roma. Secondo i calcoli dell’istituto guidato da Edo Ronchi, nell’anno appena trascorso il nostro Paese ha ridotto le emissioni del 6% rispetto al 2012. Dopo aver centrato ampiamente l’obiettivo di Kyoto nel 2012 (-7,8% dal 1990), l’Italia è sulla linea d’arrivo anche per il pacchetto clima-energia 20-20-20 dell’Ue e rischia di non doversi impegnare nemmeno per raggiungere i traguardi della nuova direttiva che guarda al 2030. Quest’ultima prevede – fra l’altro – di ridurre la CO2 del 40% rispetto ai livelli del ’90 e le proiezioni della fondazione ipotizzano già che non sarebbe una faticaccia. In uno scenario (improbabile) di crescita del Pil dell’1,5% da qui al 2030, riusciremmo comunque a tagliarne addirittura il 45%. Ecco perché il presidente Ronchi si è più volte speso pubblicamente per esortare il governo e l’Europa a fare di più.
«L’Italia dovrebbe impegnarsi al massimo in questa direzione – ha dichiarato – anche perché ne ha tutto l’interesse. Dobbiamo mettere in campo iniziative per la mitigazione e l’adattamento ai nuovi scenari climatici, ma soprattutto politiche attive per stimolare l’uscita dalla crisi attraverso la green economy. Anche l’Unione europea dovrebbe alzare l’asticella delle ambizioni. In media, nel Vecchio continente siamo già a un -19% di CO2 emessa. L’Italia è perfino più avanti. Gli obiettivi 2020 sono superati, e quelli per il 2030 sono troppo poco ambiziosi. Se vogliamo far fronte nel miglior modo possibile alla crisi climatica che si sta approssimando, è necessario osare».
Il think tank dell’ex ministro propone di puntare ad un -50% nel 2030. Secondo la fondazione non sarebbe affatto impossibile. Infatti, se dal 1990 al 2004 il Belpaese ha costantemente incrementato la CO2 emessa in atmosfera, dal 2005 il trend si è invertito. In otto anni, cioè fino al 2013, siamo riusciti a ridurre i gas climalteranti del 25% rispetto al ’90. Tutto ciò per l’effetto combinato di più fattori: la crisi economica, la modifica dei comportamenti di parte della cittadinanza e l’entrata a regime di alcune politiche. Un fatto, quest’ultimo, cui i redattori del “Dossier clima 2014” danno un peso particolare.
«La riduzione del Pil può spiegare circa un terzo della contrazione delle emissioni 2013 – spiega il rapporto – Sulla parte rimanente incidono lo sviluppo delle rinnovabili, dell’efficienza energetica e gli stili di vita più sostenibili. Anche se lo scorso anno non ha brillato per le politiche ambientali, come testimonia il brusco rallentamento della nuova potenza installata con impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili».
Un altro dato interessante per la fondazione, che dimostra come le politiche stiano avendo un loro effetto positivo, è quello sull’intensità carbonica. Essa calcola la quantità di emissioni per unità di Pil prodotto. Che questo sia in crescita o in calo è ininfluente, perciò un tale tipo di misurazione permetterebbe di estrapolare dati non viziati da fattori di contesto. Se nel periodo 1990-2004 l’intensità carbonica calava dello 0,6% annuo, dal 2005 al 2013 si è ridotta sempre del 2,4%. Quasi cinque volte di più rispetto al delta temporale precedente. Ciò dimostrerebbe una inversione di tendenza che ormai è avvenuta. Fatto che Edo Ronchi sottolinea, sornione, togliendosi anche qualche sassolino dalla scarpa: «Il protocollo di Kyoto, per l’Italia, lo ho firmato io. Le emissioni però, inizialmente continuavano a salire, e l’aver sottoscritto quell’accordo mi esponeva alle critiche dei molti scettici. Dicevano che mi ero lasciato prendere la mano da derive ambientaliste: chissà se oggi sono ancora dello stesso parere».
Hanno fatto bene tutti i paesi dell’Annesso 1, firmatari del protocollo: il taglio delle emissioni medio ha toccato il 13% rispetto al 5,2% richiesto. Eppure non è bastato, perché su scala globale si è assistito ad un aumento del 30% nel periodo 1990-2010. È dall’Europa e, perché no, proprio dall’Italia, che deve partire il cambiamento secondo la fondazione. Oggi nel nostro Paese il consumo da fonti rinnovabili dovrebbe superare il 14% del totale lordo, vicinissimo al target del 17% richiesto dall’Ue per il 2020. Per quanto riguarda le emissioni, invece, siamo già 15-20 MtCO2eq al di sotto. Sono numeri importanti, che assumono contorni ancor più significativi se si considera che a giugno inizierà il semestre italiano di presidenza dell’Unione.
«Se sapremo cogliere appieno questa occasione e se gli altri Paesi ci supporteranno, potremo davvero giocare un ruolo importante sullo scacchiere internazionale – spiega Ronchi – Presumibilmente, il pacchetto clima-energia 2030 non verrà chiuso durante il Consiglio europeo di fine marzo, perciò ricadrà nel semestre italiano. È importante ridefinire i termini della direttiva prima del summit dei capi di Stato e di governo che si terrà a New York il 23 settembre. Quello sarà un momento di svolta della politica sul clima. Ben più della conferenza delle parti di Lima, da cui non mi aspetto molto».