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Allarme dissalazione: gli impianti scartano acque contaminate e super salate

L'allarme lanciato da un recente studio: gli impianti di dissalazione scartano acque con tassi di salinità superiori al 5% e in quantità pericolose per la fauna marina

dissalazione

 

Per produrre 1 litro di acqua potabile, gli impianti riimmettono in mare 15 litri di acque contaminate e super salate

 

(Rinnovabili.it) – Gli impianti per la dissalazione producono un eccesso di scarti chimici tossici ed enormi quantità d’acqua eccessivamente salata dannosa per l’ambiente. A lanciare l’allarme, un recente studio dell’Istituto per l’Acqua, l’Ambiente e la Salute dell’Università delle Nazioni Unite.

Per produrre ogni giorno circa 95 milioni di metri cubi di acqua potabile, gli oltre 16 mila impianti di dissalazione sparsi nel mondo “scartano” circa 142 milioni di metri cubi di acqua con tassi di salinità pari o superiori al 5% e contaminata da sostanze tossiche come cloro e rame utilizzate durante il processo.

 

Cifre che superano le precedenti stime di oltre il 50% e che identificano in una determinata area geografica il centro del problema: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait e Qatar sono infatti responsabili di circa il 55% del totale sversamento in mare di acqua super salata.

Una sorta di salamoia, se si considera che la quantità di sale presente nelle acque marine, oscilla generalmente intorno al 3,5% e che risulta particolarmente dannosa per tutti quegli organismi che vivono sui fondali (granchi, molluschi, etc.) dove si deposita il sale in eccesso così come per i pesci che di questa fauna si nutrono, sottolinea il coordinatore dello studio Edward Jones.

 

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Non tutti mali vengono però necessariamente per nuocere: la ricerca pone in luce, infatti alcune opportunità di riutilizzo delle acqua prodotte dalla dissalazione. Gli scarti del processo potrebbero essere usati in coltivazioni resistenti all’irrigazione con acqua particolarmente salata o per la produzione di energia idroelettrica o ancora nel recupero di sali e metalli presenti nella salamoia (magnesio, sodio, cloro, calcio, potassio, ma anche litio, uranio e bromo.

Insomma un processo che abbisogna di migliorie strategiche e tecnologiche così da risultare virtuoso e garantire allo stesso tempo il fabbisogno di acqua potabile in zone di crisi che, attualmente, colpisce tra 1,5 e 2 milioni di persone in tutto il mondo.