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La deforestazione predatoria dei ricchi cinesi

La deforestazione predatoria dei ricchi cinesi

 

(Rinnovabili.it) –Mentre la Cina cerca di limitare la deforestazione entro i suoi confini prevedendo una riduzione del 20% entro il 2020, i suoi taglialegna illegali saccheggiano le foreste di tutto il mondo per fornire pavimenti in teak e sedie di design ai nuovi ricchi del Paese. A fine luglio, 153 cittadini cinesi sono stati condannati all’ergastolo per disboscamento illegale nella Birmania settentrionale, regione ricca di legno pregiato: teak, padauk, ebano, palissandro. Ma la prigionia è durata meno di una settimana, perché il governo ha concesso la clemenza ai prigionieri. La Cina, in fondo, è il primo partner commerciale della Birmania, e gli affari sono affari.

La sorta di impunità di cui godono le compagnie cinesi in Birmania, non può che aggravare una situazione che prosegue da 10 anni. Migliaia di alberi di teak, protetti da una legge birmana, vengono spediti ogni anno nell’est della Cina, dove diventano pavimenti o mobilio di lusso per i appartamenti o palazzi dell’alta società, i cui membri sono disposti a spendere anche un milione di dollari per un pezzo.

 

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Stesso discorso per l’Indonesia, terzo Paese al mondo per emissioni da deforestazione. Una moratoria del 2011 è stata bellamente aggirata dai taglialegna illegali. Nel 2013, la metà del legname illegale del mondo proveniva dall’Indonesia. Ed è finito in Cina.

La Cambogia, che detiene il terzo più alto tasso di deforestazione sul pianeta, destina l’85% delle sue esportazioni al Dragone. Nella Repubblica Democratica del Congo, che sta cercando di proteggere le foreste tramite il programma REDD +, il 90% del disboscamento è illegale. Nel 2014, il 65% dell’export ha preso la rotta cinese.

 

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Dal 2012, Pechino è anche leader di mercato in Brasile dal 2012, consuma l’80-90% del legname tagliato in Papua Nuova Guinea e il 90% del Mozambico.

Del resto, la domanda di legno è cresciuta del 300% nel periodo 2000-2011: numeri che hanno fra i responsabili l’industria delle costruzioni, ma anche un aumento del PIL pro capite del 474%. La Cina però si rifiuta di vietare le importazioni di legno tagliato illegalmente, lasciando all’industria la scappatoia di verifiche su base volontaria.

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