Secondo i ricercatori della Rice University e dalla Lomonosov Moscow State University, l’impiego di questo materiale facilita e ottimizza la decontaminazione delle acque radioattive
Con prestazioni che, secondo i test, sembrerebbero superare quanto fatto fino a oggi dalle argille di bentonite e dal carbone attivo, l’ossido di grafene viene diluito nelle acque radioattive sotto forma di fiocchi di piccolissime dimensioni (un atomo di spessore); ognuno di essi in pochi minuti riesce ad assorbire e a far agglomerare tra loro, indipendentemente dal valore del pH dell’acqua, una grande quantità di tossine, che poi dovranno essere opportunamente smaltite.
Bruciando il materiale “estratto” dall’acqua, hanno spiegato i ricercatori, si ottiene una specie di torta di materiale radioattivo che è possibile riutilizzare. Oltre a un impiego strettamente emergenziale, come nel caso di Fukushima, l’ossido di grafene può essere impiegato anche per rimuovere il materiale naturalmente radioattivo incontrato nelle operazioni di perforazione idraulica o durante l’estrazione dei metalli delle terre rare.