A rischio 13 milioni di ettari di foresta amazzonica, con un ritmo di deforestazione mai raggiungo prima
(Rinnovabili.it) – La foresta amazzonica rischia di essere la vittima più “illustre” del braccio di ferro commerciale tra Stati Uniti e Cina: i dazi sulle esportazioni di prodotti agricoli imposti dal presidente americano Donald Trump, come quelli sulla soia, potrebbero costringere il Governo cinese a fare pressioni su altri fornitori, ad esempio il Brasile, che, per rispondere al fabbisogno cinese di mangimi per l’allevamento, potrebbe scegliere di “rubare” terreno all’Amazzonia per trasformarlo in suolo agricolo.
L’ipotesi di una ripercussione ambientale della tensione geopolitica tra USA e Cina è stata formulata in uno studio scientifico pubblicato sulla rivista scientifica Nature: secondo gli autori della ricerca, fino a 13 milioni di ettari di foresta amazzonica andrebbero persi se il Brasile scegliesse di colmare il gap nella fornitura di soia alla Cina causato dai dazi statunitensi.
Nel 2018, le esportazioni americane di mangimi per l’allevamento destinate alla Cina sono diminuite del 50% rispetto all’anno precedente: secondo gli autori dello studio, la Cina avrebbe bisogno di reperire tra le 22,6 e le 37,6 milioni di tonnellate di soia da altri fornitori per colmare il vuoto lasciato dal calo delle esportazioni a stelle e strisce.
In tutto il mondo ci sono 94 nazioni produttrici di soia, tuttavia il Brasile è il candidato più papabile a rispondere alle esigenze cinesi: alla fine del 2018, già il 75% delle importazioni cinesi di semi di soia proveniva dal Brasile.
Il Paese sudamericano potrebbe tentare la via della coltura intensiva, ma la scarsa redditività del suolo tropicale rende difficile tale soluzione (al momento la coltivazione di soia in Brasile richiede 3 volte la quantità di fertilizzanti necessari nel Nord America). L’unica via rimasta sarebbe l’estensione delle coltivazioni: secondo i ricercatori, per rispondere alle esigenze cinesi, il Brasile dovrebbe convertire a suolo agricolo circa 5,7 milioni di ettari di terreno annui (+17,3% rispetto agli attuali ritmi di crescita brasiliani); un incremento che potrebbe far superare i record di deforestazione amazzonica registrati nel periodo 1995 – 2004 quando in media 3 milioni di ettari di foresta venivano abbattuti ogni anno.
Le stime riportate nello studio riflettono un andamento conservativo e non tengono in considerazione i tassi di crescita nella domanda di soia: a partire dal 2000, le importazioni cinesi dall’Argentina sono aumentate del 200%, dagli Stati Uniti del 700% e proprio dal Brasile del 2000%. L’ulteriore pressione sul Paese guidato da Jair Bolsonaro, che fin dal suo insediamento ha annunciato di voler rilanciare l’agricoltura anche a dispetto della conservazione della foresta amazzonica, mette a repentaglio il più grande sistema di cattura e stoccaggio di CO2, oltre che l’ecosistema con maggiore biodiversità al mondo.
“Molte persone potrebbero non rendersi conto che una guerra commerciale tra due nazioni può influenzare l’uso della terra in un Paese terzo – ha spiegato il professor Peter Alexander, autore dello studio e docente presso l’Università di Edimburgo – Questa è la conseguenza non intenzionale che deriva dalle decisioni prese in una complessa rete di interazioni in cui il cambiamento di una parte può influenzare qualsiasi altra. Governi, produttori, legislatori e consumatori devono agire ora. Se non lo faranno, la foresta pluviale amazzonica potrebbe diventare la più grande vittima della guerra commerciale tra USA-Cina”.
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