(Rinnovabili.it) – La tribù Sioux Standing Rock ha protestato per mesi coinvolgendo migliaia tra Ong, nativi americani e attivisti ambientali da tutti gli Usa. Le autorità federali venerdì scorso hanno dato ragione ai manifestanti: l’oleodotto Dakota Access non deve passare da lì. Ma la Energy Transfer, l’azienda a capo del progetto da quasi 4 miliari di dollari, non ci sta a fare un passo indietro e fa sapere che intende proseguire i lavori come da programma.
Non prima di aver fatto una capatina a Washington per parlare faccia a faccia con le autorità federali coinvolte, e magari riuscire a convincerle a ribaltare la loro decisione. E ignorando le decine di manifestazioni di protesta che martedì hanno toccato non solo diverse città degli Usa (protagonista anche l’ex candidato democratico alla Casa Bianca Bernie Sanders), ma si sono allargate anche a Europa, Giappone e Nuova Zelanda.
“Dakota Access non si ferma”
La posizione della compagnia, che vuole costruire una pipeline di oltre 1.800 km tra North Dakota, South Dakota e Ioha per trasportare circa 500mila barili di petrolio al giorno, è formalmente ineccepibile: “Rispettiamo il diritto costituzionale di tutte le persone riunite in assemblea nel North Dakota ad esprimere la loro opinione pro o contro progetti come il nostro”, ha assicurato l’ad Kelcy Warren.
Ma il messaggio prosegue in modo piuttosto chiaro: il progetto non è arrivato al capolinea e l’azienda ha intenzione di fare di tutto per proseguire i lavori. Il primo passo è appunto volare a Washington. Ufficialmente per “comprendere meglio la posizione” delle autorità federali che hanno decretato lo stop, in pratica per tentare di scavalcare le ragioni dei manifestanti e risolvere tutto ai piani alti.
Tra diritto all’acqua e razzismo ambientale
Eppure in passato la Energy Transfer non ha avuto problemi a modificare il percorso del Dakota Access. Il piano originale infatti prevedeva che l’oleodotto passasse vicino alla città di Bismarck, ma le proteste degli abitanti (dove le minoranze sono meno dell’8% della popolazione) avevano presto convinto l’azienda a cambiare idea. E l’oleodotto è stato spostato a ridosso della riserva dei nativi americani Standing Rock, da cui probabilmente non ci si aspettava una reazione così organizzata. Così ne è risultato l’ennesimo caso di razzismo ambientale.
Secondo gli Standing Rock, che hanno fatto causa alla compagnia con l’appoggio dell’Ong Earthjustice, la pipeline rischia di inquinare irrimediabilmente le acque da cui dipendono i circa 8.000 membri della tribù e milioni di altri cittadini americani che abitano più a valle, oltre la riserva. Inoltre la tribù afferma che l’oleodotto attraversa terre che considera sacre e vìola quindi il National Historic Preservation Act.