(Rinnovabili.it) – Si parla sempre di padri dell’Europa, ma questa volta forse dovremmo parlare di madri dell’Europa. Ci riferiamo al Women’s Forum 2017 – da qualcuno definito “Davos delle donne” – sul tema Revitalizing Europe with Women’s Energy for Peace and Prosperity. Il direttore generale del Women’s Forum, Chiara Corazza, ha riunito a Roma circa 200 partecipanti provenienti dall’Europa e dai Paesi del Mediterraneo; tra le relatrici – solo per citarne alcune – le presidenti di Malta ed Estonia (rispettivamente presidente uscente ed entrante dell’Unione Europea), la presidente della Rai Monica Maggioni, la commissaria europea per il mercato interno Elzbieta Bienkowska, la presidente della Fondazione Maxxi Giovanna Melandri. Ospiti d’onore, il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il vice presidente della BEI Ambroise Fayolle, il ministro francese Nicolas Hulot e Carlo d’Asaro Biondo, presidente per Europa, Medio Oriente e Africa di Google.
Perché la scelta è caduta su Roma? Perché qui, nel 1957, furono firmati i Trattati di Roma – ovvero i documenti che avviarono il processo di integrazione europea – che segnarono l’inizio di un periodo di pace e prosperità per l’Europa; perché Roma è tradizionalmente una città accogliente; perché Villa Medici, splendida sede dell’Accademia di Francia a Roma, è da 350 anni custode della cultura e della tolleranza. L’obiettivo del Women’s Forum è di ridare impulso ai valori fondanti dell’Europa e dare voce a quanti, uomini e donne, vogliono salvaguardare questi valori. Inoltre, il WF vuole lanciare un appello per raccogliere firme in difesa dell’accordo di Parigi per la protezione del pianeta. Come ha detto Chiara Corazza, “i Trattati di Roma sono iniziati con un sogno. Sogniamo di nuovo”.
Sul fronte ambientale il sostegno all’accordo di Parigi sul clima è forte in tutto il mondo. Non è un buon segno l’uscita degli USA – grande potenza, ma anche grandi inquinatori – dall’accordo, ma sembra che il presidente Trump sia riuscito a scatenare la solidarietà mondiale sull’ambiente (oltre agli USA, solo Siria e Nicaragua non hanno sottoscritto l’accordo). Anche al G7 di Taormina la sua posizione di fatto è rimasta isolata: gli altri capi di Stato sembrano aver capito che la lotta al cambiamento climatico non riguarda solo i governi o le emissioni di CO2, ma la società, la sopravvivenza stessa del pianeta.
Quello che segna un’inversione di tendenza è la posizione delle aziende, ma soprattutto del mondo finanziario: oggi investire nelle tecnologie rinnovabili è l’unica strada da percorrere per arrestare un cambiamento climatico che continua a fare danni incalcolabili in tutto il mondo. E, ulteriore ma non ultimo, è il business del futuro. Come sottolinea Laurence Tubiana, presidente della European Climate Foundation, Trump non riuscirà a fermare un movimento in atto in tutto il pianeta: potrà esserci ogni tanto qualche stop, ma la tendenza è inarrestabile. Anche perché la prima opposizione è interna: sono gli Stati, le città e le aziende USA – molte delle quali hanno investito sul green e sulla decarbonizzazione del sistema produttivo – che vogliono tenere fede all’accordo di Parigi. L’importante ora è che tale accordo non sia rinegoziato, ma applicato: mettere insieme pubblico e privato, in tutti i paesi europei e non, farà sì che si possano ottenere grandi risultati anche senza gli USA.
Finalmente qualcuno si sta accorgendo che la presenza femminile ai vertici delle aziende o ai tavoli politici fa la differenza. L’amministratore delegato di Edison, Marc Benayoun, ha rivelato numeri interessanti: nel cda le donne sono passate dal 20% all’attuale 55%, un team impegnato nella trasformazione energetica efficiente. Quando nel 1997 si lavorava al Protocollo di Kyoto, Laurence Tubiana era l’unica donna. È sempre più chiaro che bisogna impegnarsi dal basso perché la differenza non la fanno solo le aziende, ma anche i singoli individui e le famiglie. Nelle famiglie le donne hanno un ruolo decisionale importante, quindi la riduzione dei consumi o la scelta per una maggiore efficienza energetica dipende soprattutto da loro. Nei paesi emergenti le donne sono le più vulnerabili e le più colpite dalla povertà, dalla mancanza d’acqua, dai conflitti, dalle catastrofi naturali aggravate dal cambiamento climatico. Non a caso, in India il microcredito viene accordato alle donne più che agli uomini: si è capito che istruire una donna vuol dire istruire la sua comunità.
La pace è una bella parola, ma bisogna lavorare duramente perché abbia un significato reale. Ci sono paesi, come la Siria, dove la pace purtroppo rimane solo una parola, ha detto l’imprenditrice e attivista per la pace Rima Sabbagh. Anche per questo è importante lottare per l’emancipazione delle donne – in Siria un uomo può avere fino a quattro mogli contemporaneamente – e per dare loro l’opportunità di essere economicamente indipendenti e di avere ruoli significativi in politica. Saranno le madri che manderanno i figli a scuola e si opporranno ai matrimoni precoci, imprimendo una svolta decisiva alla società.
Una situazione complessivamente migliore (le donne votano, non c’è la poligamia, c’è il dialogo interreligioso, è stato eletto un presidente democratico, l’islamismo è ai margini) ma comunque difficile è quella della Tunisia. Le donne hanno avuto un ruolo chiave nella costruzione del paese e hanno combattuto a lungo per la pace. Tuttavia, confinare con la Libia espone il paese a grandi pericoli e alle infiltrazioni di terroristi e trafficanti di esseri umani: dalla Libia alla Tunisia è arrivato un milione di persone (circa il 10% della popolazione tunisina) che vogliono raggiungere l’Europa. È evidente che tutti corriamo gli stessi rischi, ha sottolineato la giovane imprenditrice tunisina Donia Kaouach, fondatrice di “Tunisiennes Fières”. La sicurezza europea coincide con quella dei paesi del Mediterraneo e il futuro dipende dall’unione tra culture: il rafforzamento della democrazia in Tunisia costituirà un segnale forte per il mondo arabo, e le donne possono essere un ponte fondamentale con l’Europa.
L’inerzia della politica si fa sentire dovunque: l’ENEA, ha spiegato il presidente Federico Testa, è stato lasciato in una sorta di limbo per undici anni. Solo negli ultimi tre anni si è avviato il suo rilancio con una nuova struttura organizzativa, concorsi aperti, meno maschilismo, più donne nei ruoli di responsabilità; nei prossimi tre anni saranno assunti 600 ricercatori giovani che, oltre ad abbassare l’età media, immetteranno nuovi stimoli e nuove modalità del fare ricerca. In Africa l’ENEA sta introducendo nuove tecnologie adatte al contesto territoriale: Testa ha fatto l’esempio delle pompe per l’acqua alimentate a gasolio e molto inquinanti che oggi sono diventate ad alto rendimento, alimentate dai pannelli solari, quindi non inquinanti. In più, dalla collaborazione con i nostri istituti tecnici e le nostre scuole – che “adottano” un istituto analogo in Africa – è nato un progetto importante: con 1 euro a studente si raccolgono fondi destinati alla formazione di tecnici locali affinché siano in grado di fronteggiare guasti ed emergenze in totale autonomia. Un ottimo esempio di responsabilità sociale dell’ente che ha ricadute positive sulla formazione dei giovani e che crea opportunità di mercato per le aziende italiane: le nostre piccole imprese da sole non potrebbero avventurarsi all’estero, ma con il supporto dell’ENEA possono andare in Africa e allargare il loro mercato.
Troppo spesso si sottovalutano le connessioni tra il cambiamento climatico e la giustizia sociale. L’Africa è un continente potenzialmente ricco, che necessita di modalità di sviluppo diverse dalle nostre: l’Occidente può collaborare a un nuovo sviluppo dell’Africa, che avrà certamente riflessi positivi anche sulle questioni ambientali.
Papa Francesco ha dimostrato di avere le idee molto più chiare di tanti leader politici: il degrado ambientale è sinonimo di degrado umano e sociale che porta guerre, fame, siccità, abbandono dei territori e quindi immigrazione fuori controllo. Parlare di protezione ambientale significa parlare di rispetto delle persone, di etica, di lotta allo sfruttamento e alle diseguaglianze; inquinare l’ambiente vuol dire inquinare la società. Per citare le sue parole, “nessuno è un’isola”, tutti hanno bisogno degli altri. Allora, quale migliore occasione di questo 60° anniversario dei Trattati di Roma per decidere di rafforzare la cooperazione per una pace duratura?