(Rinnovabili.it) – Otto grandi società energetiche italiane ed europee si presentano all’Esposizione universale unite nell’associazione Wame&Expo2015 (World Access to Modern Energy), per sensibilizzare opinione pubblica e governi sul tema dell’accesso all’energia nel mondo.
Il sodalizio è stato presentato stamattina presso l’associazione della Stampa estera a Roma. I player che lo hanno sottoscritto sono A2A, Edison, Enel, Eni, E.ON Italia, GDF Suez e Tenaris: tutti grandi nomi del panorama nazionale e non solo, mossi dalle problematiche connesse alla povertà energetica di molte zone del mondo. Il fine dell’associazione, così come dichiarato dai rappresentanti, è unicamente divulgativo: Wame servirà cioè a creare un movimento di opinione intorno a questi argomenti, ma non ha in cantiere una proposta operativa comune. Si doterà a breve di un comitato scientifico che passerà al setaccio dati, testi e immagini allo scopo di mettere in luce risultati di ricerca e descrizioni di buone pratiche che verranno poi diffusi al pubblico attraverso il sito dell’associazione.
«Il nostro sarà uno sforzo di comunicazione digitale – ha spiegato Pippo Ranci, presidente di Wame e del consiglio di sorveglianza di A2A – corredato da qualche evento che permetta di avviare quel percorso di conoscenza, consapevolezza e azione che non spetta a noi, ma ai governi».
Il progetto parte dai numeri della povertà energetica: 1,3 miliardi di persone – il 18% della popolazione mondiale – non ha accesso all’elettricità, mentre più del 40% non può usufruire di infrastrutture energetiche che superino i requisiti minimi di qualità ed efficienza. Fatti che, secondo Wame, accentuano le condizioni di povertà estrema con ripercussioni anche sui cambiamenti climatici. Milioni di cucine a legna, carbone, altri combustibili vegetali o animali inquinano l’ambiente e rappresentano un rischio per la salute umana. Sarebbero circa 1,5 milioni (dati Oms) i morti ogni anno a causa di questo fenomeno. Anche perché l’esclusione dalle fonti di energia moderne presenta, fra le conseguenze, l’impossibilità di godere di acqua pulita o cibo più sano, senza contare gli aspetti igienico-sanitari.
«Oltre il 95% della popolazione in stato di fuel poverty vive nell’Africa sub-sahariana o nelle zone più povere dell’Asia – spiega l’associazione – L’84% è concentrato in aree rurali».
Per questo i rappresentanti delle 8 imprese energetiche riunite in Wame sottolineano che povertà energetica coincide spesso con povertà tout court.
«Per noi accendere la luce è normale – nota Paolo Andrea Colombo, presidente di Enel – ma dobbiamo tener presente che in alcune parti del mondo non è così. Tutti gli operatori energetici devono muoversi in questa direzione: permettere l’accesso all’energia a chi al momento ne è privo. E poi le strategie aziendali ispirate alla sostenibilità hanno ripercussioni positive sul lungo periodo anche per gli investitori».
In risposta a questo stato di cose, Wame ha deciso di promuovere iniziative di ricerca scientifico-tecnologica ed economica per dare un contributo al superamento degli ostacoli generati dalla difficoltà di molti ad accedere alle moderne fonti di energia. Il tutto senza scordarsi mai che “business is business”, e gli azionisti vanno accontentati. Oltre al risvolto caritatevole, sottolineato da tutti i componenti della nuova associazione, esiste infatti quello economico, come si evince dalle parole di Giuseppe Gatti, presidente di GDF Suez Italia: «Quasi due terzi del nostro fatturato viene dai paesi in via di sviluppo. In questi luoghi il problema della povertà energetica ha tinte drammatiche, e va risolto con un occhio alla sostenibilità. Si impone una ricerca dal lato del software, per costruire infrastrutture intelligenti. In quest’ottica, l’aspetto umanitario ben si collega a una strategia imprenditoriale che contribuisca a migliorare anche le tecnologie occidentali».
L’apertura di nuovi mercati nelle aree in via di sviluppo presenta anche grandi potenzialità tra i principali player energetici. Il più attivo in Africa, fra quelli italiani, è da sempre Eni. Il presidente, Giuseppe Recchi, ha messo l’accento sui gap da colmare fra Occidente e Terzo mondo:
«Un parto a lume di candela in Africa è ben diverso da una romantica cena in Europa. Perciò quello che dobbiamo fare è contribuire ad avviare percorsi di crescita in quei territori. La diffusione dell’energia prodotta dagli idrocarburi è la prima soluzione: è importante connettere molte più persone a queste fonti finché il mondo non troverà altre soluzioni. Eni è impegnata a favorire lo sviluppo sostenibile in Nigeria e in Congo, con progetti di canalizzazione del gas flaring – gas in eccesso estratto insieme al petrolio – per renderlo disponibile gratuitamente alle comunità».
Se è vero che la corsa agli investimenti in infrastrutture energetiche nelle zonepovere del pianeta sembra aver luogo sotto la spinta della responsabilità sociale di impresa, la reazione delle Ong potrebbe venarsi di scetticismo: Andrea Boraschi, responsabile energia di Greenpeace, spiega a rinnovabili.it che «la volontà di facilitare l’accesso all’energia elettrica a chi non ne può usufruire è di per sé meritoria. Bisogna vedere poi con quali progetti viene portata avanti. Se si intende investire ancora fortemente sulle fonti fossili dobbiamo essere consapevoli che queste sono fra i principali responsabili del cambiamento climatico. Proprio nei paesi africani assistiamo oggi al fenomeno dei migranti del clima, persone che fuggono dalle siccità causate dal riscaldamento globale. Per aiutare queste persone, oltre a realizzare infrastrutture, sarebbe necessario iniziare a riconsiderare il paradigma energetico».