“Questa corsa che stiamo facendo non può mai dimenticare che la transizione sarà equa solo se sarà anche socialmente ed economicamente sostenibile, se esalterà, anziché deprimere, il nostro tessuto industriale”, scrive Frittella nel suo editoriale
Nel mio girovagare per le realtà dell’”Italia Green”, ho ricevuto nelle ultime settimane dei messaggi contrastanti sulla dinamica della transizione energetica ed ecologica nel nostro Paese. Due aspetti diversi di una situazione complessa e per molti versi contraddittoria.
A Brescia ho avuto modo di partecipare ad un incontro molto importante di imprenditori bresciani e bergamaschi dedicato a discutere delle politiche economico-sociali dell’Europa. I rappresentanti di una realtà imprenditoriali tra le più solide e innovative non solo d’Italia ma d’Europa, che stanno dimostrando una grande capacità di resilienza di fronte alle difficoltà del momento – basti pensare alla frenata tedesca – hanno ripetuto più volte che l’approccio green non può essere “ideologico”, che esso deve fare i conti con le dinamiche della produzione industriale e del mercato, che la transizione deve essere accompagnata e governata per essere sostenibile economicamente e socialmente, e che insomma non si può correre il rischio di mettere le nostre imprese in condizioni di svantaggio competitivo rispetto ai concorrenti degli altri continenti, a cominciare dai cinesi, assai meno virtuosi di noi europei quanto a inquinamento, a emissione di gas climalteranti, al rispetto di civili condizioni di lavoro.
Un “grido di dolore” che non può non essere accolto con preoccupazione: nessuno di quegli imprenditori mette in discussione la necessità ineludibile della transizione ecologica, ma tutti chiedono che sulle modalità e sulle tempistiche di essa il confronto con le parti interessate sia reale e che Bruxelles eviti in futuro, nella prossima stagione che verrà aperta dalle elezioni di giugno, le forme di dirigismo che hanno caratterizzato parecchi aspetti della politica della Commissione e anche delle decisioni dell’Europarlamento.
L’altro messaggio mi è arrivato invece visitando una azienda del Sud, una grande azienda, la Bardascino Holding, tutta votata, anche in chiave internazionale, allo sviluppo delle tecnologie di energia rinnovabile, di economia circolare e gestione del ciclo dei rifiuti, di innovazione digitale e di intelligenza artificiale. La Fondazione Bardascino che promana ora dall’azienda ha grandi progetti per la diffusione e la implementazione dell’impostazione green nel cuore della cultura d’impresa del nostro Paese. Una realtà molto dinamica e in crescita come spesso capita – ce lo ricorda instancabilmente Ermete Realacci – alle aziende più avanzate, cioè più innovative e più sostenibili, che “spingono” verso il futuro.
Sono messaggi contraddittori? Sì e no, in realtà. Sono piuttosto messaggi che esigono una sintesi: il futuro è segnato, il mondo delle energie rinnovabili ha già vinto, il dominio delle risorse fossili e di un modello di sviluppo predatorio del Pianeta è destinato prima o poi a soccombere sotto i colpi dell’innovazione tecnologica e dell’emergenza climatica. Ma questa corsa che stiamo facendo non può mai dimenticare che la transizione sarà equa solo se sarà anche socialmente ed economicamente sostenibile, se esalterà, anziché deprimere, il nostro tessuto industriale.
La rivoluzione in atto non sarà di sicuro un pranzo di gala, d’accordo, ma occorre sempre ricordare esistono strati sociali che rischiano di essere i primi a pagarne il prezzo. Trarne le conseguenze è il compito della politica, nazionale ed europea.
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