Gli ambientalisti scendono in piazza per sollecitare l’Italia e l’Europa a fare di più nella lotta al cambiamento climatico. È successo stamattina a Roma, in piazza Montecitorio, dove si è svolta la manifestazione “SOS Clima – Europa rispondi” indetta (tra gli altri) da Greenpeace, Legambiente, WWF, Green Italia e Coordinamento Free. Un centinaio di persone, sotto la pioggia, ha srotolato striscioni inneggianti a uno stop dell’immobilismo politico e dei regali legislativi ai produttori di energia da fonti fossili.
Le associazioni puntano i fari sul governo italiano, il cui ruolo è ritenuto fondamentale per avviare una strategia comunitaria più ambiziosa di quella proposta dalla Commissione sugli obiettivi al 2030. Sotto accusa ci sono i traguardi fissati dalla direttiva clima-energia 2030, che prevedono un 40% di riduzione delle emissioni interne di CO2 e l’aumento (non vincolante per i singoli Stati) delle rinnovabili al 27%. Secondo i manifestanti, però, serve osare di più affinché l’Ue possa svolgere un ruolo decisivo nella trattativa internazionale. La voce italiana dovrà farsi sentire, chiedono gli ambientalisti, sia nel Consiglio europeo del prossimo 20-21 marzo che durante il semestre di presidenza italiana. Soprattutto nell’ottica della prossima Conferenza delle Nazioni Unite di Parigi 2015, è necessario – spiegano – ridurre i gas climalteranti con misure più decise e di spinta verso una economia low carbon: lo si può fare attraverso target legalmente vincolanti da applicare a ciascun Paese.
Le istanze promosse necessitano, per entrare in agenda, della sponda di interlocutori politici di diversi schieramenti, ma tra la gente in piazza stamattina si sono presentati soltanto Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera, e il senatore 5 stelle Giovanni Girotto.
«Mi auguro che il nuovo governo non faccia giocare all’Italia una battaglia di retroguardia – ha auspicato il primo – In questo senso andava l’ultima presa di posizione del ministro Orlando, firmando l’appello dei Paesi più avanzati. Servono target vincolanti anche sul fronte delle rinnovabili e dell’efficienza energetica: oltretutto io ho sempre sostenuto che fissare questi paletti è non solo necessario, ma anche utile per uscire dalla crisi economica investendo sulle energie pulite. Le misure per produrre occupazione, infatti, spesso incrociano politiche ambientali più avanzate. Le più efficaci dal punto di vista occupazionale l’anno scorso sono state il credito di imposta per l’edilizia e l’ecobonus. Lo dice il CRESME: hanno prodotto 19 miliardi di euro di fatturato e, fra diretto e indotto, 280 mila posti di lavoro. È da qui che bisogna ripartire. Non c’è contraddizione, come invece sostiene Confindustria, fra la ripresa economica e questi target».
In linea con il presidente della Commissione Ambiente anche il senatore Girotto, secondo il quale però Realacci si trova isolato all’interno del Partito democratico, dunque i suoi appelli cadono nel vuoto.
«Eppure, per dare una svolta basterebbe applicare le direttive che già ci sono state date dall’Ue – chiosa il senatore – Per esempio ogni anno il 3% del patrimonio edile pubblico dovrebbe essere efficientato dal punto di vista energetico. Spero che non verremo sottoposti ad infrazione per non aver adempiuto».
La prima cosa da fare, secondo Girotto, è stabilizzare l’ecobonus almeno fino al 2020, affiancandogli però un ecoprestito.
«Va bene la detrazione fiscale, però bisogna dar opportunità anche a chi non ha i soldi. La Francia lo sta già facendo dal 2008, non si tratta di novità sconvolgenti. Vedremo cosa farà il nuovo ministro: il governo appena caduto aveva un conflitto interno sulla posizione da tenere a livello europeo nei confronti del pacchetto 2030. Speriamo che questo esecutivo si schieri per una differenziazione della terna di obiettivi. Trattare separatamente CO2, rinnovabili ed efficienza è la base per dar vita ad un circolo virtuoso che consenta di sviluppare filiere industriali interne».
Con queste premesse – un governo nuovo, un ex ministro dell’ambiente che, temono, si farà rimpiangere e un ministro dello Sviluppo economico che arriva da Confindustria – la piazza ambientalista vive un misto di speranza e scetticismo. Secondo Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del WWF, siamo in un momento in cui «in Italia assistiamo a una esplosione di creatività e innovazione. Manca un sostegno da parte della politica, che permetta alle realtà propositive di fare sistema. Vedremo cosa farà il nuovo ministro dell’ambiente, così come quello dello sviluppo economico, che viene da Confindustria ma speriamo finalmente cominci a curare l’interesse generale». Anche Simone Togni, presidente dell’Anev chiede che le istanze promosse davanti a Montecitorio trovino un posto di primo piano nel programma di governo: «Finora il passo culturale non è stato fatto perché tutte le politiche stabilite a livello comunitario in Italia sono state ostacolate da chi voleva mantenere lo status quo. L’Europa deve dare un segnale forte per trainare gli altri continenti. I vincoli presenti a livello Paese nel pacchetto europeo per la CO2 vanno estesi anche agli altri due punti in agenda».
Le richieste ambientaliste di alzare target si traducono anche in cifre: 55% di riduzione dei gas serra entro il 2030, 45% come quota di rinnovabili, 40% in tema di efficienza energetica. Le sciorina Luca Iacoboni, responsabile energie rinnovabili di Greenpeace, che guarda con inquietudine al Consiglio europeo del 20-21 marzo: «Spero che già allora si converga verso una posizione forte e condivisa su questi obiettivi. Non possiamo, come Ue, presentarci divisi alla conferenza di Parigi nel 2015. Sarebbe un pessimo segnale».
Senza gettare il cuore oltre l’ostacolo, sostengono le associazioni, sarà impossibile restare in linea con quel taglio delle emissioni del 95% da raggiungere entro il 2050.