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Rio+20, il futuro che vogliamo

The Future We Want – Il futuro che vogliamo. Questo lo slogan che ha accompagnato i mesi preparatori e le campagne mediatiche di Rio+20. E questo il motto che richiama l’attenzione del pubblico e di quanti saranno presenti nella città brasiliana, su quanto si attende da questo appuntamento ONU:  ridisegnare il domani del Pianeta, far sì che la comunità internazionale indirizzi politiche e azioni a favore della sostenibilità in tutte le sue declinazioni. Il Vertice Internazionale sullo Sviluppo Sostenibile apre le sue porte oggi a Rio de Janeiro, dopo una settimana di intensi preparativi e dialoghi a porte aperte e con la speranza, neanche troppo segreta, di divenire la più grande conferenza delle Nazioni Unite mai realizzata. Grande a cominciare dai numeri: in uno scenario di spiagge e favelas blindate fanno oggi la loro apparizione 193 delegazioni mondiali, 45mila attivisti, un centinaio di capi di stato e di governo e 15mila forze dell’ordine.

L’attesa ovviamente è soprattutto nei confronti dei risultati ottenibili. Dal Brasile si spera, infatti, di uscire con un accordo che promuova la cooperazione internazionale e l’azione sui tre pilastri dello sviluppo sostenibile (economico, sociale e ambientale) rendendo concreti e possibilmente rafforzando gli impegni assunti negli ultimi decenni. Da oggi al 22 giugno quattro temi principali terranno banco e richiameranno i delegati internazionali a prendere una posizione condivisa: la green economy, il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile, gli obiettivi di sviluppo sostenibile e gli strumenti di attuazione.

UN DOCUMENTO DEBOLE E DELUDENTE Dal 13 al 15 è stata redatta la prima bozza del documento finale per i negoziati, da consegnare ai politici presenti in questa tre giorni insieme alle raccomandazioni che la società civile ha stilato durante le giornate di Dialogo. L’ultimo round di colloqui, per dichiarazione dello stesso Sha Zukang, segretario generale della Conferenza, si era dimostrato “un incoraggiante progresso”. I gruppi negoziali erano riusciti a mettere nero su bianco una bozza con un’intesa sul 38% di essa, (in pratica 119 paragrafi su 318 totali) consegnandola in mano al Brasile, paese ospite, per le discussioni finali. Il testo, presentato ieri mattina dal ministro degli Esteri brasiliano, Antonio Patriota, era però stato aspramente criticato da quanti non scorgevano nelle pagine l’originale ambizione, in particolar sui temi riguardanti la lotta alla povertà e la salvaguardia ambientale. “Abbiamo il testo e abbiamo fatto tutto il possibile per includervi tutto, anche i negoziati e le consultazioni dell’ultimo minuto”, aveva commentato Patriota ha detto in una conferenza stampa alle 02:30 (ora italiana). Per Luiz Alberto Figueredo, coordinatore brasiliano l’unico testo accettabile avrebbe dovuto riflettere ”un equilibrio delle divergenze”, quelle sorte in questi mesi dai due schieramenti: Cina e i 133 Paesi in via di sviluppo  (G77) da un lato, le economie ricche dall’altro. Il consenso raggiunto nelle ultime ore di ieri, anche per mano della mediazione italiana, appaga in parte i negoziatori, ma lascia completamenti scontenti gli ambientalisti. Il documento appare svuotato di qualsiasi ambizione, limitandosi a ribadire i principi di Rio ed in particolare quello di “responsabilità comuni ma differenziate”. E stando a quanto riferito dal commissario europeo all’Azione Climatica, Connie Hedegaard, il risultato di tanti mesi di lavoro sarebbe “debole, deludente: nessuno nella stanza in cui è stato approvato il testo era felice.”

I NODI ANCORA DA SCIOGLIERE Testo o non testo, sulla green economy come strumento di riscatto dalla povertà, continua a permanere una forte distanza tra i vari gruppi, non solo sul concetto di “Roadmap” (definitivamente eliminato nel documento in discussione) ma anche sulla definizione stessa dei principi di economia verde. Tra le questioni che ancora fanno discutere, le modalità di trasferimento di tecnologie, finanziamenti e capacity-building ai paesi in via di sviluppo; da un lato i Paesi del G77 chiedono a quelli del G20 di mettere a disposizione nuove risorse finanziarie per l’attuazione degli impegni nelle economie emergenti, oltre a riaffermare l’importanza del trasferimento gratuito di tecnologie, dall’altro i Paesi “ricchi” che si oppongono alla definizione di nuovi vincoli finanziari, in un momento così delicato. Un disaccordo in alcuni punti così radicato da far già prevedere un’altro fallimento annunciato. O per dirla con le parole del Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International, dopo la lettura del documento finale, “un fallimento epico”.

NESSUN MIRACOLO POLITICO ALL’ORIZZONTE Altra questione clou, il modo di affrontare gli impegni, presi durante il Vertice, con un assenso volontario o in maniera vincolante. La preoccupazione di molti è che da Rio esca un accordo sugli obiettivi comuni verso i quali orientare la crescita senza però che questi diventino un vincolo. A confermare in qualche modo le preoccupazioni è stato lo stesso Ministro dell’Ambiente italiano Corrado Clini, in Brasile fin dal 13 giugno e  il WWF, sicuro che non ci sia “nessun miracolo politico in vista”, soprattutto in considerazione di quelli che già oggi sono stati annunciati come i grandi assenti di Rio+20. Pesano più che mai, infatti, le defezioni del Presidente americano Barack Obama (sostituito dalla Clinton), del premier britannico David Cameron, del cancelliere tedesco Angela Merkel e del presidente russo Vladimir Putin.

Non esistono buoni e cattivi, anche se c’è chi si è divertito a stilare una lista delle Nazioni che stanno remando contro il processo negoziale. Di mezzo ci sono ancora una volta “semplici” interessi economici che vogliono alcuni Paesi schierati contro l’accordo sull’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. Non c’è da meravigliarsi di trovarvi dunque i Paesi dell’OPEC, dall’America Latina, (Brasile escluso) al Medio Oriente, e in particolare Arabia Saudita, Venezuela, Ecuador e Qatar. Si rifiuta di riconoscere qualunque differenza di responsabilità tra paesi sviluppati e in via di sviluppo il Canada che a livello dei negoziati sta offrendo il suo sordo rifiuto a qualunque tipo di nuovo finanziamento.

AVERE 20 ANNI E DIMOSTRARLI TUTTI Ma Rio +20 costituisce soprattutto un momento per fare i giusti bilanci. L’appuntamento, come lo stesso nome indica, arriva vent’anni dopo la conferenza mondiale su “Ambiente e Sviluppo” che sempre nella città brasiliana ha costituito la piattaforma per le grandi convenzioni internazionali per la protezione dell’ambiente globale su “Clima”, “Biodiversità” e “Desertificazione”. A tracciare un prospetto economico, sociale e ambientale di questi 20 è il dossier del Panda Verso Rio +20. Cibo, acqua, energia per tutti. Per sempre”. Queste le cifre più significative di quanto, voce per voce, è cambiato dal 1992:

1. Prodotto globale lordo: superati i 63mila miliardi di dollari oggi  (+40%).

2. Estrazione globale di materie prime: raggiunti i 60 miliardi di oggi (+40%), che, considerando i cosiddetti ‘flussi di materia nascosti’ (consumo di suolo, materiali inerti, ecc.) diventano 100 miliardi di tonnellate, per un consumo procapite in media di 14 tonnellate nel mondo e circa 15 nei 27 Stati dell’Unione Europea.

3. Popolazione: da circa 5,5 miliardi di persone nel 1992 a oltre 7 miliardi nel 2012 (+26%).

4. Urbanizzazione: la popolazione urbana in 20 anni ha superato i 3,5 miliardi nel 2012 (+45%) e le megacittà (le città dove vivono almeno 10 milioni di abitanti) sono aumentate da 10 a e 21, per un incremento complessivo del 110%.

5. Emissioni e concentrazione in atmosfera di CO2: superati i 30 miliardi di tonnellate (+36%) con una concentrazione in atmosfera che è passata da 357 parti per milione di volume (ppmv), nel 1992, a 396 ppmv, nel 2012.

Ma cosa è veramente cambiato nell’aria lo ha raccontato Clini, che nel 92 aveva preso parte alla Conferenza e che ha ora sotto gli occhi “una situazione completamente diversa”; diversa vuoi perché i Grandi, quelli che fino a ieri tirano le fili dell’economia mondiale attraversano oggi una crisi economica senza precedenti, vuoi perché ora i “BRICS” (Brasile, Russia. India. Cina, SudAfrica) hanno spostato l’equilibrio globale, e la crescita veloce di questi paesi ha aumentato la pressione sulle proprie risorse energetiche e naturale. Ma in un moltiplicarsi di sfide, contrasti, posizioni opposte e interessi da difende, la vera domanda rimane una sola: che futuro vogliamo?

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