di Daniela Martinelli e Francesco Pigozzo
Nel precedente articolo abbiamo già avuto modo di spiegare l’importanza del lavoro per problemi autentici all’interno del gruppo classe. E abbiamo anche sottolineato che lo sviluppo di competenze in questo ambito non è dato da una mera sommatoria di situazioni o unità di apprendimento, nemmeno dipende dall’utilizzo o meno di specifiche metodologie didattiche, ma richiede delle vere e proprie prassi condivise che si vanno sviluppando con il contributo e le decisioni di tutti, fino a essere riconosciute come “istituzioni” comuni. È questo tipo di “esperienza incarnata” che permette la maturazione e la collaborazione civica non soltanto tra gli studenti ma anche con i loro insegnanti, creando un contesto di apprendimento che è di per sé un potente antidoto a un’idea “dottrinaria” dell’impegno civico. Un simile approccio pedagogico richiede naturalmente uno sforzo di coordinamento e collaborazione all’interno del consiglio di classe.
In questo articolo proveremo a entrare nel dettaglio concreto di una precisa istituzione che vi proponiamo di sperimentare e che mira a “Riflettere e deliberare assieme”.
COSTRUIRE IL CONTESTO
Per definizione, non esiste una ricetta unica e dettagliata per costruire e istituzionalizzare la prassi del “Riflettere e deliberare assieme”. Non si tratta di calare un modello dall’alto e perciò è importante che l’istituzione si sviluppi rispondendo ai bisogni e alle condizioni specifiche della singola classe: quali sono le principali routines e norme che già regolano la vita quotidiana del gruppo? Fino a che punto sono state condivise con gli studenti e sono aperte alla loro critica? Quanto può dirsi acquisita nel collettivo e per ciascuno studente l’abitudine all’ascolto reciproco e alla presa di parola davanti a compagni/e e docenti? Quali dinamiche di collaborazione sono già attive tra i docenti e su quali obiettivi? Sono solo alcune delle variabili da cui dipende il modo concreto di avviare la nuova prassi.
Ma ci sono anche alcuni punti fermi: affinché “Riflettere e deliberare assieme” diventi una abitudine istituzionalizzata, serve che le sia garantito un tempo ben definito e ripetuto con cadenza regolare e significativa all’interno dell’orario scolastico, tale da favorire la partecipazione a rotazione di ciascun docente; si devono inoltre assicurare le condizioni necessarie alla condivisione da parte di tutti dello sforzo di riconoscere e affrontare come collettività che si autoregola le questioni di interesse comune che vanno emergendo. Queste condizioni, per quanto variabili a seconda dello specifico contesto, comportano sicuramente di prestare attenzione ad aspetti materiali, emotivi e procedurali.
ASSICURARE CONDIZIONI FAVOREVOLI
Sul piano materiale è importante che questo momento istituzionalizzato si trasformi anche in un cambiamento dell’organizzazione spaziale della classe. Se si ha modo di dedicargli uno spazio apposito o un assetto specifico, bene. Tanto meglio, poi, se essi sono anche maggiormente funzionali agli obiettivi che ci si propone: ad esempio perché favoriscono una discussione in cui tutti possano guardarsi negli occhi e in cui non si sanciscano gerarchie di sorta. Come minimo, tuttavia, è importante almeno che la cesura con il resto delle attività quotidiane sia resa da qualche simbolo materiale o rituale che la renda chiaramente e significativamente riconoscibile. Ciò importa anche proprio sul piano delle condizioni emotive: tutti devono sapere che l’esercizio del proprio senso critico, la discussione, la ricerca di soluzioni condivise, hanno un preciso luogo, con precisi confini, entro cui non solo è possibile, ma è per tutti utile che ciascuno si senta sicuro e legittimato a farlo. Questo non serve soltanto a facilitare la libera espressione e l’emersione di problemi comuni che altrimenti, probabilmente, resterebbero silenti. Ma serve anche, al contrario, a far sì che le tensioni e le questioni da affrontare assieme non siano costrette a “esplodere” per manifestarsi e trovare ascolto, e quindi non impongano poi di essere gestite nell’urgenza. Istituzionalizzare significa infatti dilazionare, dare a se stessi e a ciascuna delle altre persone con cui si convive la possibilità di prendere coscienza e di esprimere i propri impulsi in modo mediato.
A ciò concorre tuttavia anche l’elaborazione condivisa di specifiche procedure che rendano effettivamente praticabile non soltanto la riflessione collettiva ma anche la deliberazione. Con deliberazione si intende la capacità del gruppo di prendere e mettere in pratica decisioni sentite da tutti i suoi componenti come legittime e come funzionali a rispondere ai problemi su cui si è cercato di costruire una visione comune; si decidono obiettivi, azioni conseguenti ma anche, ed è importante non dimenticarlo, i ruoli, le regole di funzionamento e gli eventuali cambiamenti di quelle stesse regole, partendo proprio dai metodi di decisione. È fondamentale che gli studenti si abituino a svolgere a rotazione tutti i ruoli che saranno previsti e che sia tenuta traccia scritta tanto delle questioni affrontate quanto delle decisioni prese.
SU CHE COSA RIFLETTERE E DELIBERARE?
Fa parte delle condizioni necessarie a creare questa istituzione anche la piena comprensione da parte dei docenti del fatto che non si tratta di una attività da riempire di contenuti a priori e nemmeno di una performance di cui giudicare la riuscita. Si tratta appunto di una prassi, che si costruisce con l’esperienza e di cui importa anzitutto sottolineare il senso generale, affinché tutti (docenti inclusi!) via via se ne approprino e contribuiscano a declinarlo nei modi particolari e in base alle vicende specifiche che interessano quel gruppo. “Riflettere e deliberare assieme” va concepito proprio come un luogo determinato in cui la classe sa di poter affrontare collettivamente l’indeterminato: e proprio questo ne è il senso più profondo e strettamente legato alla competenza di base per ogni organismo vivente che voglia sostenere la propria esistenza in un universo complesso. Tra gli esseri umani, la cui esistenza è strettamente dipendente da legami sociali, questa competenza si chiama a buon diritto “di cittadinanza” e si capisce quindi perché al suo cuore stia la questione della “sostenibilità”. Nel lavoro di classe, ciò diventa tanto più chiaro nel momento in cui la maturazione del gruppo permette di valorizzare il fatto che esso, come qualsiasi gruppo umano, non è un’isola e perciò i “suoi” problemi, su cui impara a riflettere e decidere, sono sempre interconnessi a quelli di gruppi e collettività più vaste di cui tutti o singoli suoi membri sono parte integrante: questa è la base reale che permette di prendere coscienza a scuola delle interdipendenze, del fatto che la costruzione di ciascuna identità individuale o collettiva è un continuo divenire relazionale, della piena e autentica continuità che c’è tra la comunità scolastica e la società dal locale al globale nel sistema Pianeta.
Istituzionalizzare un’apertura all’indeterminato non significa tuttavia votarsi alla totale improvvisazione: altrimenti non parleremmo di istituzione e dimenticheremmo il fatto che educare non significa assistere a processi interamente spontanei. Ma è proprio questa tensione ad essere feconda: compito dei docenti non è dominarla per liberarsene o annullarla, ma prendersi costantemente il rischio e la soddisfazione di tradurla in occasioni di crescita. Ci sono molti modi e strumenti concreti per aiutarsi. Si può prendere spunto da occasioni e eventi puntuali, si può organizzare un primo incontro in cui è l’insegnante a manifestare il bisogno di discutere un problema con la classe, oppure si può creare un supporto sempre a disposizione di tutti tramite cui raccogliere via via le segnalazioni di problemi e questioni su cui uno o più membri del gruppo sentono il bisogno di discutere assieme (un file, un quaderno, una cassetta delle lettere…). L’importante è iniziare, con quella dose di spirito sperimentale e di coraggio che i problemi stessi ci impongono di avere!