Il rapporto sulla repressione delle proteste per il clima in Italia nasce dal monitoraggio dell’Onu pubblicato a febbraio
In Italia c’è una “crescente criminalizzazione” della “protesta pacifica per il clima”. Condotta a suon di leggi, provvedimenti e processi contro attivisti “che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta”. E che attribuisce loro le etichette di “criminali”, “eco-vandali” o “nemici dell’ordine pubblico”. Lo denuncia il 1° rapporto sulla repressione delle proteste per il clima in Italia pubblicato il 4 luglio.
Un lavoro collettivo dei movimenti italiani, coordinato dalla Rete In Difesa Di e da Osservatorio Repressione. Che ha messo insieme No TAP e No TAV, organizzazioni come Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Yaku, A Sud, Extinction Rebellion XR! Italia, Fridays for Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima fuori dal Fossile, Controsservatorio Valsusa e CASE Italia.
Ed è scaturito dal report di Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente, che lo scorso febbraio – dopo 1 anno di lavoro sul campo – tracciava il quadro della repressione delle proteste per il clima in Italia, Europa e nel mondo. Secondo il funzionario Onu, reprimere le proteste pacifiche per il clima – spesso con un uso eccessivo e sproporzionato della forza – è una “grave minaccia per la democrazia e i diritti umani”.
Repressione delle proteste per il clima in Italia, la risposta dei movimenti
Sotto la lente dei movimenti per il clima finisce soprattutto il dl – ribattezzato, appunto, “eco-vandali”, che inasprisce le pene per gli attivisti. Uno strumento con cui il governo prova a “contrastare, reprimere o dissuadere associazioni e movimenti dal praticare il loro legittimo diritto a difendere l’ambiente e il clima” e che sfocia in “gravi restrizioni – se non violazioni – degli impegni presi dal nostro Paese sul rispetto delle libertà civili, di espressione, associazione, manifestazione e sulla tutela e il rispetto dell’operato di chi difende i diritti umani e dell’ambiente”, spiega Francesco Martone, portavoce della Rete in Difesa Di.
Ma non è l’unico strumento, perlomeno dissuasivo, che indebolisce diritti e portata delle mobilitazioni per un’azione più incisiva contro la crisi climatica. Il rapporto dei movimenti evidenzia un aumento corposo, soprattutto negli ultimi mesi, delle azioni legali e amministrative contro singoli attivisti o gruppi. Che passano da arresti, multe e misure preventive tra cui fogli di via e DASPO.
Molti i procedimenti aperti. Tanti gli attivisti colpiti. Un quadro normativo denso di circostanze aggravanti tarate proprio sulle proteste per il clima, tra cui il giro di vite sui blocchi stradali previsto dal Pacchetto Sicurezza ancora in Parlamento. E ancora: multe più alte che indeboliscono la capacità di iniziativa dei movimenti. Tutti sviluppi che hanno introdotto un disincentivo ad agire, a prescindere da come si concluderanno i vari procedimenti in corso, sottolinea il rapporto.
“Le nostre richieste a governo e Parlamento sono chiare e fondate sul diritto internazionale”, spiega Ludovico Basili di Osservatorio Repressione. Dal “contrastare le narrazioni che dipingono i difensori dell’ambiente e i loro movimenti come criminali” alla tutela effettiva di “libertà di espressione, riunione pacifica e associazione”. E ancora: garantire il ricorso a pratiche di disobbedienza civile “senza limitare lo spazio civico e l’esercizio delle libertà fondamentali”. Emettere da parte “ogni misura o pratica che risulti in un effetto dissuasivo sull’attivismo ambientale e climatico”.