Un tempo, non molti anni fa, l’informazione sui temi ambientali era considerata una cosa per pochi, noiosa per il grande pubblico e quindi residuale. Le notizie sulla salute del Pianeta potevano sperare di superare il news gathering dei media tradizionali a condizione che fossero catastrofiche o buffe. Soprattutto in televisione, poter parlare d’ambiente era cosa che si assoggettava ad una regola ferrea: ci dovevano essere delle immagini veramente molto impattanti sul pubblico, altrimenti niente da fare, qualunque altro argomento veniva preferito “all’ecologia”.
Lo racconto per esperienza diretta: quando negli anni ‘80 portammo su RaiUno, fondando “Linea Verde” gli argomenti che sintetizzavamo nel sottotitolo: “ambiente, salute, società” (che, a pensarci, anticipava parecchi degli attuali acronimi green) le resistenze esterne alla RAI furono fortissime, e le superammo solo grazie al sostegno di una dirigenza aziendale saggiamente preveggente. “Quelli di Linea Verde” erano considerati una specie di “figli dei fiori” solo perché mandavano in onda indagini sull’inquinamento urbano da gas di scarico delle auto o facevano analizzare i cibi per verificarne la salubrità. Nei giornali non andava diversamente: qualche redattore specializzato faceva le sue battaglie per conquistare un po’ di spazio.
Molto, moltissimo e’ cambiato da allora. Anche i media tradizionali hanno capito che l’ambiente e’ cosa di cui bisogna parlare. Lo hanno fatto perché’ il cambiamento climatico e’ talmente evidente che ormai solo qualche cocciuto giornale negazionista riesce a non vederlo, magari solo perché un certo giorno nevica in pianura; e poi perché i progressi delle tecnologie nella transizione energetica sono così importanti che ignorarli è impossibile; infine perché l’ Europa ha messo al centro della sua azione il Green Deal, e con essa buona parte dell’establishment. Insomma la società ha mostrato di avere una consapevolezza largamente superiore ad una informazione tradizionale che, per rimontare il ritardo, ha cominciato ad inseguire i new media come questo benemerito sito che mi ospita che da tempo ne insidiano la vecchia egemonia. Ormai non si contano le paginate, le copertine, le trasmissioni che parlano di ambiente.
Complessivamente dunque le cose vanno meglio, per certi aspetti anche troppo: questa corsa a riempire fogli e minuti televisivi di notizie green è talmente forsennata che rischia di creare un po’ di confusione: del resto, non si può avere tutto dalla vita. Però sarà utile mettere in guardia da alcuni rischi che si stanno correndo. Il primo è quello di andare dietro alle fanfaluche, quelle che oggi siamo soliti chiamare fake news. Colpisce, ad esempio, lo spazio che viene dato alle proteste contro impianti indispensabili all’economia circolare come i biodigestori accusati di ogni possibile nefandezza dai comitati nimby che sorgono come funghi lungo la Penisola. Le rinnovabili, poi, da questo punto di vista, sono una fonte inesauribile di inesattezze, specialmente l’eolico, persino l’eolico off shore. Su questo la stampa dovrebbe fare chiarezza, pubblicare dati attendibili e verificati, e non limitarsi a riportare ogni possibile protesta, anche la più immotivata. Allo stesso modo compito dell’informazione professionale, che per essere tale è vincolata a criteri deontologici di rigore, completezza e verificabilità delle notizie, deve andare a scavare nei meandri purtroppo sempre più profondi del greenwashing.
Quest’ultimo punto ci consente di parlare dell’altro lato del mercato delle notizie, quello della comunicazione istituzionale di aziende e organizzazioni varie. Al pari dell’informazione, anche la comunicazione green, o sostenibile, si è ingigantita negli ultimi anni divenendo sempre più pervasiva e parte integrante del rating di sostenibilità che va sotto la sigla di ESG. Le aziende sempre più si rendono conto di avere a che fare con un pubblico di consumatori via via più consapevoli ed esigenti, pronti a scegliere un brand piuttosto che un altro proprio sulla base della sua politica di sostenibilità secondo lo schema delle tre P: profit, people, planet. Per conquistare il favore di questa nuova genia di consumatori che vieppiù si allarga, il marketing di sostenibilità arma le strategie di comunicazione di tutti gli argomenti più favorevoli all’azienda o all’organizzazione in questione e talvolta – bisogna pur dirlo – lo fa enfatizzando elementi che magari sono appena di contorno. Talvolta invece queste campagne di comunicazione si concretizzano in un vero e proprio raggiro del consumatore costruendo una immagine che non corrisponde alla concreta realtà di una produzione o di una “politica”.
È qui che devono scattare due meccanismi di tutela sociale. Da una parte la capacità dell’informazione di andare a scavare, con delle inchieste rigorose, mosse dalla ricerca dei fatti e non del clamore, per fare in modo che il consumatore venga messo al riparo dal greenwashing. Dall’altra, l’etica dei comunicatori, da ricordare anche di fronte a pressanti interessi commerciali.
Conclusione. Oggi si informa di più, si comunica di più, molto è cambiato rispetto al passato, ma occorre che questo processo sia migliorato e controllato. La transizione, ecologica ed energetica, non è, come si usa dire, un pranzo di gala: ha i suoi costi, i suoi rischi, le sue vischiosità, i suoi progressi ma anche i suoi passi indietro. Vediamo, nel dibattito europeo in vista delle elezioni di giugno, come ci siano forze che vorrebbero frenare un processo che pure va considerato inarrestabile di fronte all’urgenza di non fallire almeno gli obiettivi di Parigi. Importanti soggetti in campo stanno lavorando perché l’Europa segni il passo nel suo cammino virtuoso verso il 2050 e stanno spargendo semi di incertezza che vanno ad aggiungersi ai tanti motivi di paura del futuro che il mondo di oggi ci presenta. Ecco perché è indispensabile disporre, su questo fronte, di una informazione soprattutto competente e di una comunicazione corretta e trasparente. I due fronti si guardano: i loro protagonisti dovrebbero agire insieme, in una sorta di alleanza pro bono che abbia a cuore il destino delle giovani generazioni cui lasceremo questo Pianeta.