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Nucleare: creato l’ente per garantire la sicurezza smaltimento

In Italia ci sono 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi distribuiti in 23 siti in undici regioni, da trattare e smaltire e 8 impianti nucleari da smantellare

Nucleare: creato l'ente per garantire la sicurezza smaltimentoUn tavolo tecnico seguirà la bonifica dei siti nucleari e la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. È questa la missione dell’Osservatorio per la chiusura del ciclo nucleare, presentato stamattina a Roma dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile di Edo Ronchi. Il presidente è Stefano Leoni, ex membro della commissione tecnico-scientifica del ministero dell’ambiente ed ex presidente di WWF Italia. Insieme a lui lavoreranno Paolo Bartolomei (Enea), Ennio Fano (dg di Ipalmo), Edo Ronchi, Antonio Federico ed Emmanuela Pettinao (Fondazione sviluppo sostenibile), Claudio Margottini (Ispra), Giovanni Marsili (Istituto Superiore di Sanità), Claudio Pescatore (Ocse) e Renzo Rosso (Politecnico di Milano).

 

L’iniziativa della Fondazione è in collaborazione con Sogin, la società di Stato responsabile del risanamento ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione delle scorie, comprese quelle prodotte da attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare. L’Osservatorio ha lo scopo di rendere trasparente e partecipato il processo decisionale che porterà, fra quattro anni almeno, alla costruzione di un deposito nazionale dei rifiuti nucleari, così come richiesto dalla direttiva comunitaria Euratom. Sarà una struttura di superficie, costruita all’inentterno di un parco tecnologico, che dovrà accogliere 75 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività e, temporaneamente, altri 15 mila ad alta attività. Dove sorgerà? Non è dato saperlo, o almeno non ancora. Un incontro pubblico, previsto entro luglio, metterà a confronto i vari stakeholders nel tentativo di individuare i criteri di localizzazione della discarica, nel cui progetto è compreso anche un parco tecnologico. Gli impianti da smantellare sono 8: alle quattro centrali nucleari italiane di Trino (VC)Caorso (PC)Latina e Garigliano (CE) e all’impianto di Bosco Marengo (AL), si aggiungono gli ex impianti di ricerca Enea di Saluggia (VC)Casaccia (RM) e Rotondella (MT). Il piano per la messa in sicurezza di tutte queste aree prevede il termine dei lavori nel 2036. Prima, però, serve il luogo in cui stoccare le scorie: solo così si potrà completare il cosiddetto decommissioning, termine che riassume le operazioni di rimozione del combustibile nucleare esaurito e suo riprocessamento (che avviene all’estero), decontaminazione e smantellamento delle strutture, gestione e custodia dei rifiuti radioattivi. Ma a quanto ammonta il loro volume complessivo? I dati li ha forniti Stefano Leoni, presidente del neonato Osservatorio CCN: «Le attività nucleari nel nostro Paese hanno prodotto finora circa 90 mila metri cubi di rifiuti da trattare e smaltire. 55 mila provengono dalle centrali e 36 mila da impieghi medicali, di ricerca e industriali».

Stefano Leoni, Edo Ronchi, Claudio Pescatore
Stefano Leoni, Edo Ronchi, Claudio Pescatore

 

Oltre il 10% del totale è composto da materiale ad alta attività. Al momento, le scorie radioattive prodotte quotidianamente sono trattenute nei siti di produzione, mentre quelle di origine sanitaria, industriale o derivanti dal settore della ricerca sono gestite da Sogin tramite la controllata Nucleco e smaltite in depositi provvisori. Per quanto riguarda la realizzazione di quello definitivo, la road map dell’Osservatorio prevede che si comincino i lavori nel 2018. Prima sarà necessario, come sottolinea Edo Ronchi, «un processo di coinvolgimento di tutti i soggetti interessati. Troppo spesso vediamo insorgere le comunità locali, che non vengono messe a parte dei progetti e spesso ricevono informazioni quando le scelte sono già state fatte. Vogliamo che questo osservatorio sia il primo esempio in Italia di progettazione partecipata, partendo dal presupposto che lasciare, come adesso, i rifiuti nelle centrali, non è una scelta ambientalmente ed eticamente accettabile».

 

Lo scambio di informazioni dovrà essere bidirezionale, chiarisce Stefano Leoni: «Non solo assicureremo trasparenza alle comunicazioni, ma chiederemo anche dei feedback agli attori interessati dal progetto».

Molti si chiederanno perché, e perché adesso, salta fuori l’idea di un centro di stoccaggio dei rifiuti nucleari. Risponde Claudio Pescatore, membro dell’Osservatorio e amministratore principale presso l’Agenzia nucleare dell’Ocse: «Questo è il momento giusto, oggi ancora non siamo in una situazione di rischio. Ma la sicurezza è provvisoria, bisogna muoversi per tempo e l’Italia, una volta tanto, sembra che lo stia facendo. Molti paesi europei hanno già costruito i loro depositi, anche perché hanno da smaltire molti più rifiuti di noi».

 

Riccardo CasaleAnche Riccardo Casale, amministratore delegato di Sogin, sottolinea la necessità di cautelarsi: «Spesso sentiamo dire che in Italia si pecca in fatto di prevenzione. Questa volta vogliamo smentire la vulgata comune con un atto di responsabilità verso le future generazioni. Il volume di scorie oggi censito è gestibile senza affanni: abbiamo le tecnologie e l’esperienza per farlo. Cercheremo di far capire alle persone che il deposito è una struttura statica, non dinamica come una centrale. In Svezia più località hanno gareggiato per ospitarlo, perché porta occupazione».

Legambiente e WWF, entrambe presenti alla presentazione dell’Osservatorio, hanno però sottolineato che vigileranno affinché le scelte siano davvero condivise e l’evolversi del progetto sia all’insegna della trasparenza e garantisca la sicurezza necessaria.