Da diversi decenni ormai – almeno dagli anni 70’- sappiamo che la nostra priorità deve essere quella di approdare ad un modello di sviluppo compatibile con i limiti fisici del nostro pianeta.
Nonostante periodicamente si rinfocoli un qual certo negazionismo climatico di maniera, è già da tempo universalmente noto che la natura ci impone di smettere di scaricare su di essa e sulle prossime generazioni i costi della nostra esistenza. Viviamo, adesso, un’epoca di rapide trasformazioni strutturali come mai la storia dell’umanità ha visto prima: un magma di novità che abbraccia l’ambiente, gli aspetti demografici, tecnologici, politici, sociali ed economici e che sta modificando le vite di milioni di persone: è impensabile continuare a proporre come motore del cambiamento un modello di sviluppo novecentesco con i suoi acclarati limiti ambientali, sociali e finanziari.
Per questo Patty L’Abbate, economista ecologico e senatrice della Repubblica, ha scritto il libro dal titolo “Una nuova economia ecologica. Oltre i cambiamenti climatici ed il Covid-19”. Il libro si basa sull’assioma che oggi serva inquadrare la nostra esistenza nell’ottica di un equilibrio migliore tra uomo e natura, tra mercati e legge, tra consumo privato e beni pubblici, tra giustizia sociale e produzione. Correggere il fallimento dell’attuale modello economico è compito dei decisori ed è un risultato che può essere conseguito solo assegnando il giusto valore ai flussi nascosti di materia ed energia alla base dell’economia (e dello stile di vita della comunità) o intervenendo sulla mano invisibile del mercato con forze esterne, con una politica economica giusta, equa e sostenibile.
L’opinione pubblica sembra aver preso consapevolezza di questa necessità. Tuttavia, se guardiamo all’Agenda 2030, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, notiamo come questa transizione sia ancora molto di là da venire. I 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile stanno incontrando più resistenze di quanto se ne prevedessero inizialmente e anche per quelli relativi ad una maggiore equità la strada sembra essere ancora in salita.
Stando all’ultimo rapporto sullo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo, infatti, quasi 690 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2019, vale a dire 10 milioni in più rispetto al 2018 e poco meno di 60 milioni in più nell’arco di cinque anni: tanto che quest’anno per la prima volta alcune Agenzie dell’Onu hanno espresso dubbi sulla realizzazione di obiettivi come Fame Zero. Oltre all’ambiente ed al cambiamento climatico, uno dei più importanti problemi del nostro tempo resta quindi quello della distribuzione equa delle risorse. Il benessere della società odierna è basato sullo sfruttamento reale di due classi di individui: le nuove generazioni e le popolazioni dei paesi più deboli. E questo non ha più motivo d’essere.
Per l’ambiente le cose non vanno meglio. Gli ultimi rapporti dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change, Convezione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) evidenziano che se le emissioni di gas serra dovessero permanere immutate anche dopo il 2030, non riusciremmo a centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e diventerebbe difficile evitare un aumento della temperatura media globale di 2,6-3,1 °C.
C’è però all’orizzonte un’economia diversa, sicuramente meno avida di risorse e capace di guardare più lontano: ma, come stiamo vedendo, questo passaggio ha bisogno di un tempo che è sicuramente troppo lungo rispetto a quello del pianeta, assediato dal consumo delle risorse e dai cambiamenti climatici. Tradurre in azioni positive questa armonizzazione non è facile, almeno finchè Stati importanti saranno governati da una generazione che non ha personalmente più nulla da perdere. Possiamo invece guardare al futuro con fiducia, perché le nuove generazioni hanno dimostrato di avere una consapevolezza della biosfera maggiore di quelle che le hanno precedute.
Il cambiamento sembra oggi ormai avviato su un piano inclinato. Il Green New Deal europeo è un accordo verde per l’Unione Europea e i suoi cittadini. È l’impegno della Commissione europea ad affrontare le sfide climatiche e ambientali, è parte integrante della strategia per l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Si tratta di una nuova strategia di crescita che mira a trasformare l’UE in una società equa con un’economia moderna, competitiva ed efficiente in termini di risorse.
In Italia, per esempio, proprio in queste settimane si stanno recependo le direttive europee per l’economia circolare: nuove norme che aggiornano i testi delle direttive su riciclo dei rifiuti solidi urbani, imballaggi, rifiuti da batterie, componenti elettriche ed elettroniche e infine discariche. I principi base sono la prevenzione della creazione dei rifiuti, anche attraverso il riciclo dei prodotti e il recupero energetico attraverso i termovalorizzatori. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha detto che «il taglio al 40% entro il 2030 del fossile non è più in linea con l’accordo di Parigi» e che «si potrà arrivare ad un taglio del 55%», riferendosi agli obiettivi climatici per la riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 rispetto al 1990 (l’obiettivo attualmente inserito dal Governo nel Pniec si ferma attorno al 37%).
Insomma, la politica cerca di fare il suo lavoro e si fanno passi in avanti francamente impensabili fino a qualche decennio fa. Ma questo non basta più, perché il tempo a nostra disposizione è ormai agli sgoccioli ed abbiamo bisogno di un mutamento strutturale di sistema economico in chiave inclusiva. Ed è questo il punto su cui insiste L’Abbate nel suo libro. L’economia ecologica ha tra i suoi temi principali la scala, la distribuzione e l’allocazione: con scala si intende la dimensione del modello economico rispetto all’ecosistema che lo contiene. Dato che la scala è limitata -prevede cioè un limite alla crescita economica, in quanto il contenitore ambiente ha dei limiti di biocapacità definiti- l’equa distribuzione della ricchezza è un argomento che deve essere affrontato, se si vuole combattere la disuguaglianza. La scala e la distribuzione equa delle risorse naturali distinguono l’economia ecologica dall’economia tradizionale che, infatti, presuppone una crescita economica illimitata. La sfida, oggi, è questa.