di Andrea Masullo
(Rinnovabili.it) – Nel 1967, un illustre manager di industria italiano, Aurelio Peccei, in una conferenza manifestò la sua preoccupazione per la velocità della crescita economica, che correva in parallelo con il degrado ambientale e con l’aumento delle disuguaglianze fra NORD e SUD del mondo. Alexander King un eminente scienziato scozzese, venne casualmente a conoscenza del discorso di Peccei e ne fu talmente impressionato da proporgli un incontro. L’incontro avvenne a Roma nel 1968, presso l’Accademia dei Lincei, dove decisero di approfondire il nesso fra crescita economica, degrado ambientale e disuguaglianze planetarie; è così che nacque il Club di Roma.
Nel 1970, su invito del governo svizzero il Club di Roma definisce una metodologia e incarica Jay Forrester e Dennis Meadows del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di costruire un modello matematico in grado di simulare il comportamento di sistemi complessi come l’economia mondiale, l’ambiente e la crescita urbana. Il Club di Roma stese una lista di 1000 variabili da includere nel modello, concentrandosi su 5 temi principali: investimenti, popolazione, inquinamento, risorse naturali e cibo.
Due anni dopo, sotto la supervisione di Dennis Meadows, un gruppo di 17 ricercatori produsse il Rapporto per il Club di Roma “I limiti della crescita” (tradotto malamente in italiano come limiti dello sviluppo). Per la prima volta un rapporto scientifico stabilì un legame fra crescita economica e problemi ambientali.
Nel 2006 venne pubblicato un aggiornamento della previsione che confermò quanto sostanzialmente già previsto nello studio del ’72. Si previde che tutti i parametri rappresentativi del tenore materiale di vita avrebbero subito una crisi entro il 2020. Dopo un aumento rapido ed evidente in tutto il ‘900, la speranza di vita inizierà rapidamente a scendere. Fino a stabilizzarsi entro la fine del secolo ai valori dei primi del ‘900. L’aumento dell’inquinamento, l’eccessivo sfruttamento dei suoli agricoli, lo stress delle risorse idriche causato da un eccessivo sfruttamento, dalla contaminazione chimica e dalla crisi climatica, porteranno in pochissimi anni prima al declino e poi al crollo della produzione alimentare. Si prevedeva che entro il 2020 sarebbe avvenuto anche un crollo della produzione industriale, dovuto principalmente al costo crescente di risorse sempre più scarse. Lo scenario entro la metà del secolo è quello di una crisi globale drammatica che porterà anche al crollo della popolazione mondiale ed al declino della civiltà industriale.
Pur non avendo tenuto conto delle pandemie dovute alla mutazione di virus da sempre presenti nella biosfera ma non ancora venuti in contatto con l’uomo, oggi si stanno avverando queste previsioni.
Le previsioni contenute nel citato rapporto sui “limiti della crescita”, oggi si manifestano con la convergenza delle 5 principali crisi globali che si avvicinano velocemente al limite di non ritorno.
- la crisi climatica
- il declino della biodiversità
- la distruzione delle foreste
- le pandemie
- il declino della produzione alimentare
L’ultima ad affacciarsi sulla scena del mondo è proprio quel declino della produzione alimentare, denunciato dal recente drammatico rapporto del World Food Program, considerato nel rapporto del Club di Roma l’elemento scatenante del declino della popolazione mondiale, che attualmente ancora marcia, sebbene a velocità decrescente rispetto ai decenni passati, verso gli otto miliardi. Nel rapporto del WFP si dice che la pandemia da Covid 19 potrebbe far raddoppiare il numero delle persone che soffrono di fame acuta, portandolo entro la fine di quest’anno a 265 milioni.
Le 5 crisi globali citate sono strettamente interconnesse in una tragica influenza sinergica che ne accelera il percorso. Per questo, mentre istintivamente speriamo in un rapido ritorno alla cosiddetta “normalità”, dobbiamo invece a gran voce pretendere che dopo l’emergenza nulla sia più come prima, che la politica affronti con lungimiranza un profondo cambiamento del sistema economico mondiale.
Nella storia della nostra civiltà ci sono stati sempre dei punti di svolta, nei quali il percorso seguito, grazie alle lezioni imparate ed i progressi conseguiti, non risultava più idoneo al progresso dell’umanità. Molti comprendono assai prima degli altri la necessità di cambiare strada, ma solitamente rimangono inascoltati a causa della inerzia delle strutture sociali, culturali ed economiche plasmate dal sistema dominante. Da sempre un evento drammatico finisce per svegliare le menti ed infondergli il coraggio del cambiamento; speriamo che sia questo il momento, prima che sia troppo tardi.
La nostra società è figlia dell’illuminismo, anch’esso nato da una catastrofe. Nel novembre del 1755, un grande terremoto, seguito da incendi e poi da un grande tsunami, devastò Lisbona, una delle città più ricche e progredite d’Europa, lasciando sgomenti tutti i grandi scienziati e filosofi del tempo. La natura si era dimostrata dotata di una potenza gigantesca e incontrollabile. I grandi intellettuali di allora, Rousseau, Leibniz, Kant, Voltaire ecc., si interrogarono su come l’umanità potesse difendersi da tali orribili eventi. La risposta fu la nascita di un nuovo paradigma culturale, l’illuminismo, in cui le scienze empiriche e le tecnologie dovevano liberare l’umanità dalle minacce incontrollabili della natura e consentirgli di soggiogarla. Questa fu la nascita della civiltà moderna.
La storia economica e tecnologica scaturita dallo sviluppo delle scienze empiriche ci ha dato un enorme ed incredibile progresso; tuttavia, la marginalizzazione delle scienze umane, non ci ha dato la saggezza necessaria per evitare che l’enorme potere tecnologico sviluppato, in grado di trasformare la struttura fisica del pianeta e modificarne i meccanismi ciclici che ne regolano la vita, fosse utilizzato in maniera distruttiva, fino a provocare catastrofi planetarie. Grandi scienziati ci hanno ammonito che la scienza non è la quintessenza della ragione, che non tutto ciò che è possibile fare è bene farlo, che la potenza dei suoi prodotti tecnologici, se non orientata eticamente anziché verso il benessere può condurci alla catastrofe.
Quando la strada su cui siamo si rivela impraticabile, l’errore più grave è aver paura di cambiare.