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Il monito di Copenhagen

Le conclusioni del quinto rapporto dell’IPCC sono molto chiare: ormai vi è l’estrema certezza che il cambiamento climatico sia in atto e che gli esseri umani abbiano causato la maggior parte di esso

IPCC

(Rinnovabili.it) – Il 5° rapporto dell’Intergovernamental Panel on Climate Change del quale è stato reso noto il documento di sintesi alla fine di ottobre a Copenaghen (dopo che erano stati già pubblicati i tre volumi del rapporto, il primo dedicato allo stato di conoscenze sul clima della Terra, il secondo agli impatti ambientali e socio-economici del cambiamento climatico e alle opzioni di adattamento e il terzo sulle risposte di strategie, tecnologie, costi e politiche necessarie ad evitare un ulteriore aggravio del cambiamento climatico) dimostra chiaramente i danni inflitti ai sistemi ambientali e sociali del nostro pianeta dal continuo utilizzo dei combustibili fossili, dimostrando ormai l’insostenibilità economica dell’utilizzo addizionale di carbone, petrolio e gas. La conoscenza scientifica sin qui acquisita ci dimostra sempre di più l’estrema necessità e l’urgenza di agire concretamente per fronteggiare il cambiamento climatico frenando ed eliminando l’utilizzo dei combustibili fossili nonché il danno ambientale, sociale ed economico prodotto dall’inazione e dal rinvio.

Le conclusioni di questo quinto rapporto dell’IPCC sono molto chiare: ormai vi è l’estrema certezza che il cambiamento climatico è in atto e che gli esseri umani hanno causato la maggior parte di esso. Le emissioni di gas climalteranti hanno raggiunto livelli da record e gli effetti del cambiamento climatico stanno avendo ripercussioni ed impatti su tutti i continenti e gli oceani risultando in mutamenti che sono senza precedenti nella storia umana e potrebbero parzialmente essere, o diventare presto, irreversibili. L’attuale acidificazione degli oceani registrata a causa dell’eccesso di anidride carbonica che questi straordinari ambienti acquisiscono, potrebbe condurre ad un tasso così alto, come non si è mai verificato negli ultimi 300 milioni di anni, mettendo a rischio totale le catene alimentari degli organismi marini e le strutture e le funzioni degli ecosistemi marini.

Mantenere la crescita della temperatura sotto i 2°C entro tutto questo secolo è ancora possibile, ci dicono gli scienziati dell’IPCC, ma ciò richiede un cambio ad ampia scala nel mix globale di produzione energetica più un drastico e urgente taglio delle emissioni che dovranno poi essere azzerate. In ogni caso, proprio per cercare di evitare gli effetti più devastanti del cambiamento climatico, non si dovrebbe raggiungere un livello di concentrazione di CO2 nella composizione chimica dell’atmosfera superiore alle 450 ppm e sarebbe molto opportuno restare nell’ambito di un dato più basso di questo.

La comprensione scientifica che si sta ottenendo negli ultimi anni sui rischi futuri derivanti dai cambiamenti climatici in atto si sta rafforzando e dimostra quanto la crescita della temperatura media della superficie terrestre causerà sempre di più effetti economici molto significativi sul prodotto globale lordo, eroderà e modificherà le disponibilità di cibo e di acqua, accentuerà l’insicurezza alimentare, esacerberà le diseguaglianze sociali ed economiche.

Se vogliamo mantenere sotto i 2°C la temperatura media della superficie terrestre rispetto all’epoca preindustriale, dobbiamo assolutamente limitare la cifra globale delle emissioni totali di anidride carbonica, rispetto a quanto avvenuto dal 1870, a 2900 miliardi di tonnellate, due terzi dei quali sono stati già emessi sino al 2011. Le stime sulle riserve fossili di carbonio eccedono in maniera significativa questo budget disponibile, per cui dobbiamo fare il possibile per lasciare questi combustibili fossili dove sono.

Il cambiamento climatico costituisce la punta dell’iceberg del cambiamento ambientale globale (Global Environmental Change GEC) cui l’umanità ha sottoposto, in particolare con l’accelerazione avutasi dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, tutti i sistemi naturali del pianeta.

Siamo ormai entrati in un nuovo periodo geologico, l’Antropocene, l’epoca in cui gli esseri umani sono tra i principali driver dell’evoluzione dei sistemi planetari, con effetti similari alle forze geofisiche che hanno modificato la nostra Terra da quando esiste e cioè da oltre 4.6 miliardi di anni.

A fine settembre 2014 inoltre il Global Carbon Project, il più autorevole programma internazionale di ricerca sul ciclo del carbonio che opera nell’ambito dell’International Geosphere-Biosphere Program, ha reso noto il Global Carbon Budget 2014. I dati riportati da questo rapporto annuale, un appuntamento ovviamente molto utile e interessante per chiunque si occupi delle problematiche globali che riguardano la costante pressione umana sui sistemi naturali e gli effetti che da essa derivano, sono ancora più negativi rispetto al budget precedente.

Nel 2013 la concentrazione di biossido di carbonio nella composizione chimica dell’atmosfera ha raggiunto le 395 ppm; si tratta della concentrazione più alta registrata negli ultimi 800.000 anni ed è del 43% più alta della concentrazione esistente agli inizi della Rivoluzione Industriale nel 1750 che risultava essere di circa 277 ppm. Inoltre il Global Carbon Budget indica la cifra di emissioni raggiungibili credibilmente nel 2014 a 40 miliardi di tonnellate di CO2 la più alta nella storia umana, con un incremento del 2.5% rispetto al 2013.

Continuare a bruciare carbone, petrolio e gas significa solo aggravare l’instabilità climatica con l’alta probabilità di raggiungere e superare delle soglie molto pericolose per tutte le società umane e per l’intera natura e ricchezza della biodiversità con cui condividiamo questo periodo della vita del nostro pianeta e grazie alla quale riusciamo a vivere e a ottenere benessere e sviluppo.

L’utilizzo delle energie rinnovabili, del risparmio e dell’efficienza energetica diventa ormai essenziale e questi strumenti combinati tra loro possono consentire di affrontare queste sfide epocali in un modo corretto e soddisfacente.

di Gianfranco Bologna, Direttore scientifico WWF Italia