Un laboratorio sviluppabile a più livelli di profondità e complessità tecnica, che parte da semplici esperienze motorie e di rappresentazione artistica per stimolare riflessioni autentiche sul modo in cui noi esseri umani conosciamo e ci definiamo “identitariamente”.
di Daniela Martinelli e Francesco Pigozzo
Viviamo un’epoca in cui sembra guadagnare un consenso maggioritario, almeno nell’immagine del mondo che ci viene trasmessa dai mezzi di comunicazione di massa, la critica ad ogni concezione “esclusiva” e statica delle identità. L’ostentazione democratica di un’estrema apertura, tolleranza, liberalità verso ogni tipo di “diversità” umana pare tuttavia trasformarsi in vera e propria neutralità identitaria degli spazi di comunicazione collettiva – che, non sottovalutiamolo mai, svolgono una fondamentale funzione educativa nella società. Ma questa immagine di sé che la nostra società tende a trasmettersi e a trasmettere a ognuno di noi è profondamente inautentica e paradossalmente nociva alla causa stessa di quella che la cultura progressista del XIX e XX secolo chiamava l’emancipazione umana.
È inautentica, perché non può proprio esistere neutralità identitaria: per qualunque soggetto che interagisce e comunica pubblicamente con altri (ciascuno di noi, così come a maggior ragione un esperto invitato in TV, un opinionista da grande giornale, un singolo influencer e le miriadi di followers che danno fiato al discorso dei social oppure le piattaforme stesse di cui fanno uso e ogni ente e impresa pubblica o privata che opera nel settore), credersi neutrale significa obliterare, nascondere, mistificare la propria soggettività – che invece, inevitabilmente, continua a esistere e, sottraendosi al vero confronto con l’altro, si manifesta e opera poi in modo ancor più subdolo e prevaricatore.
L’effetto storico-sociale di questa pratica e di questa immagine culturale di una presunta neutralità identitaria è nocivo, perché disinnescando ogni possibilità di confronto e conflitto aperto tra diversità favorisce la conservazione dell’esistente e dei rapporti di potere e di oppressione che organizzano il quadro identitario della società, invece che permettere reali processi di emancipazione. Si tratta inoltre di una situazione che alimenta, nel complesso, l’uniformazione e perdita del senso di identità e appartenenze collettive piuttosto che il loro sviluppo vitale: uno sviluppo che si nutre proprio, in modo complesso, di reinvenzione, di ibridazione, di memoria.
Se dovessimo condensare in una sola frase in che cosa consista, sul piano educativo, il misconoscimento (o l’auto-mistificazione) in atto, potremmo dire che per far maturare persone che comprendono davvero e appieno i limiti e i rischi di qualsiasi esclusivismo o pulsione di chiusura identitaria è basilare partire proprio dal riconoscimento dell’esistenza insopprimibile di questa tendenza e dall’interrogazione sulla sua ragion d’essere, sia in generale sia nelle declinazioni specifiche in cui si manifesta e rende visibile ai nostri occhi. Non solo, ma è persino auspicabile imparare a governare consapevolmente questa tendenza, tanto sul piano individuale quanto su quello collettivo, piuttosto che confondere l’educazione con lo sforzo di eliminarla o biasimarla.
IL LABORATORIO
Il laboratorio che descriviamo in questo articolo nasce proprio dallo sforzo di tradurre in sperimentazione pratica questa visione pedagogica, mettendo quindi al centro la capacità di riconoscere e interrogare il fenomeno, tramite esperienze in situazioni semplici su cui riflettere in modo strutturato e via via più complesso, secondo le differenti età.
Lo schema di base, nella versione che noi stessi realizziamo con bambini di scuola dell’infanzia e primaria, è il seguente. Chiediamo loro di disegnarsi mettendo in evidenza le proprie caratteristiche fisiche più peculiari e di descriversi (oralmente o per iscritto) mettendo in evidenza caratteristiche peculiari anche in fatto di abitudini, gusti etc. Estrapoliamo dai lavori svolti un elenco di categorie di caratteristiche: ad esempio, diversi bambini nel descriversi avranno evidenziato il colore dei loro capelli – che la caratteristica del singolo sia biondo, moro o castano, emerge in ogni caso la categoria “colore dei capelli”. Una volta individuata una lista di categorie, cui naturalmente può contribuire anche l’iniziativa del docente (meglio ancora se partecipando all’autoritratto e all’autodescrizione), il laboratorio può svilupparsi in varie modalità – noi lo abbiamo sperimentato ormai molte volte come attività motoria e come attività artistica. Ecco i dettagli:
- MOTORIA: si fissano nello spazio di una palestra o di un giardino diversi punti in cui raggruppare, ogni volta secondo una categoria diversa, i bambini e le bambine che hanno la medesima caratteristica. Esempio. Siamo tutti in gruppo al centro dello spazio e il docente annuncia: «Colore dei capelli!», tutti i biondi vanno (o saltano o corrono etc.) all’angolo A, tutti i mori all’angolo B etc. Il gioco va ripetuto con un numero di categorie sufficiente a far sì che bambini e bambine alla fine si siano ritrovati a stare in gruppo con un’ampia varietà di loro compagni e compagne.
- ARTE E IMMAGINE: per ciascuna categoria, chiediamo a ciascun bambino e bambina di ritagliare una sagoma di petalo di fiore colorabile o disegnabile. Tutti coloro che hanno la medesima caratteristica in una categoria, colorano o scrivono o disegnano o comunque riempiono allo stesso modo il petalo di quella categoria. Alla fine, ciascuno compone un proprio «fiore» di caratteristiche con un petalo per ogni categoria adottata, mettendo al centro una corolla tonda che può essere riempita ad esempio con la foto personale, con il proprio autoritratto o con qualunque altra cosa che ciascuno sente come rappresentativa della propria individualità. I petali devono essere in numero sufficiente a garantire una ampia varietà di confronti possibili tra i bambini.
Qualsiasi sia la modalità adottata, l’esperimento prosegue con un incontro di riflessione di gruppo in cui riflettere assieme sui risultati dell’esperienza di confronto a partire da alcune domande-stimolo. Pensando alla modalità motoria: c’è qualcuno che, per tutte le categorie, si è trovato sempre assieme allo stesso compagno? C’è qualcuno che si è ritrovato sempre a far gruppo da solo? Se a queste due domande emergessero risposte positive, va chiesto allora: se aumentassimo il numero di categorie di confronto, troveremmo lo stesso risultato? Che categoria vi viene in mente per cambiare il risultato? Secondo voi esistono categorie in base alle quali saremmo tutti nello stesso gruppo? E ne sapreste individuare altre che ci costringono a fare gruppo da soli?
DIVERSI LIVELLI TECNICI DI IMPOSTAZIONE DELL’ESPERIENZA
Questa descrizione non deve far pensare che il laboratorio si presti solo alla riflessione dei bambini più piccoli. Il livello di profondità e complessità dell’attività si può sviluppare lungo due principali direzioni di progettazione didattica, che servono a declinarlo nella verticalità del primo e del secondo ciclo.
La prima direzione è quella che concerne le modalità del confronto. Con il crescere delle conoscenze e delle abilità matematiche, scientifiche, linguistiche, storiche, artistiche etc. è evidente che l’individuazione delle categorie, la raccolta dei dati sulle caratteristiche individuali, l’elaborazione, l’analisi e la rappresentazione dei risultati possono seguire di pari passo il percorso scolastico e far restare l’esperienza un esperimento all’altezza delle esigenze e degli interessi conoscitivi autentici di chi vi partecipa. Per esemplificare in concreto: in una classe di biennio del liceo, il laboratorio può consistere nell’impostazione di un foglio di dati o tabella condivisa di classe(o altro strumento adatto, digitale o meno)in cui raccogliere differenti tipologie di dati sia quantitativi che qualitativisu specifiche caratteristiche che consentono di classificare e fare distinzioni i membri del gruppo. Ciascuno studente e studentessa riporta il dato che lo/la riguarda. La raccolta può avvenire una tantum o protrarsi nel tempo lungo un determinato periodo prescelto. Resta naturalmente importante che la tabella si costruisca con un buon numero di caratteristiche differenti. Si potranno a quel punto estrapolare, e volendo anche rappresentare in varie forme grafiche, vari tipi di confronto e raggruppamento dei dati: partendo ovviamente dal confronto tra individui, categoria per categoria, affinché ciascuno possa constatare a chi altro “assomiglia” e da chi “differisce” di volta in volta.
DIVERSI GRADI DI PROFONDITÀ DELL’ESPERIENZA
La seconda direzione di approfondimento è quella che concerne le riflessioni sull’esperienza. Non è alternativa, ma complementare alla prima – anche se, nei nostri esperimenti, abbiamo constatato che può capitare di raggiungere grandissimi livelli di approfondimento anche con bambini di terza primaria che hanno semplicemente giocato in giardino nella modalità motoria del laboratorio… Anzi, proprio la versione basica dell’esperimento aiuta anche i più grandi a liberarsi di stereotipi, nozioni acquisite e pregiudizi che rendono più difficile svolgere in modo autentico qualsiasi riflessione.
Nelle riflessioni più approfondite è in ogni caso facile che emerga la constatazione del fatto che, più sono numerose le caratteristiche in base a cui effettuare i confronti, più risulta evidente che ogni individuo appartiene a una molteplicità di sotto-gruppi possibili, che questa molteplicità è sempre variabile nella composizione dei sotto-gruppi (i “simili” con cui ci si ritrova) e che nessuno è quindi mai riducibile del tutto a un altro individuo né, però, può differenziarsi sotto ogni profilo da tutti gli altri.
Ma l’approfondimento può e deve prendere anche ulteriori strade, che vanno ben oltre questa intellettualizzazione, sulla base dell’esperienza concreta, del banale fatto che non esistono né identità né diversità assolute e che ciascuna relazione interpersonale è fatta di somiglianze e differenze.
Intanto, nel momento in cui si ripete il laboratorio nel tempo e si introducono categorie di confronto soggette a cambiamenti apprezzabili, si apre la pista di riflessione sulla non staticità, sulla dinamicità, sulla storicità di ciò che ci identifica o ci distingue dagli altri – e sul fatto che esiste una dimensione costruttiva dell’identità, il cui sviluppo dipende proprio dalla quantità e qualità dei “confronti” di cui è capace.
E da qui si può esplorare sotto vari punti di vista il nesso tra significato personale e significato sociale del laboratorio. Tanto nella vita personale quanto nella vita collettiva, infatti, vi sono diversità che acquisiscono o cui attribuiamo maggior peso – sul piano emotivo oppure culturale oppure giuridico oppure politico… con enormi conseguenze pratiche ogni volta: a partire da questa osservazione, che emerga direttamente dalla classe o sia favorita dai docenti, diviene possibile stimolare discussioni e riflessioni sui processi storici e sui fattori determinanti, sempre problematici e mai fondabili in termini di pura “razionalità naturale”, che spiegano queste dinamiche identitarie.
Inoltre, già a partire dalla secondaria di primo grado, diviene possibile aggiungere alla riflessione – se non alla stessa impostazione della raccolta dati – la questione della provenienza o origine delle caratteristiche individuali analizzate: che cosa “viene da me” e che cosa invece “mi viene” da altro, nelle caratteristiche che riconosco in me stesso? In che misura, in particolare, riesco a riconoscere l’influenza di fattori sociali, storici e culturali? In che misura so farlo rispetto a fattori biologici e ambientali? E, prima ancora, che cosa può aiutarmi a mettere in questione ciò che sento come mio ma, in realtà, è frutto di influenze di cui non sono nemmeno consapevole? Anche tali questioni possono nutrire la riflessione su nuove categorie meritevoli di analisi per la crescita di soggettività più fortemente autonome, in un tempo segnato da un così invasivo potere dei mezzi di comunicazione di massa.
Il livello più approfondito si raggiunge però, a nostro parere, svincolando la riflessione, o addirittura la parte di raccolta e analisi dei dati che la precede, dalle identità dei singoli individui per applicarne lo schema di lavoro a altri tipi di “identità” – ne proponiamo qui tre specifici in conclusione, perché ci sembra che consentano di far maturare ulteriormente la consapevolezza e l’abilità di gestire in modo responsabile l’impulso che abbiamo chiamato di “esclusivismo identitario”:
1. Identità di gruppo (culture o sovranità politiche). Sotto il profilo interculturale vero e proprio, si può lavorare a scomporre e poi confrontare insiemi di caratteristiche attribuibili a specifiche “identità culturali” da confrontare fra loro: si può arrivare alla medesima constatazione già fatta sugli individui, circa l’impossibilità di fissare somiglianze e differenze assolute e totalizzanti? Ciò che apre tra l’altro la riflessione della classe su questioni del tipo: in che misura è utile, da un punto di vista conoscitivo, distinguere differenti culture all’interno della storia e della cultura umana? In che misura è invece dannoso o fuorviante? Che ruolo svolgono le relazioni e le dinamiche di interdipendenza nella storia della società umana e delle sue manifestazioni localizzate? E sul piano politico: in che misura l’umanità è organizzata in modo conseguente rispetto ai dati di fatto che abbiamo constatato a proposito delle identità “culturali”? Che funzione storica ha svolto l’idea di “sovranità del popolo” nello sviluppo delle democrazie nazionali dell’età contemporanea? In che misura le lotte per l’emancipazione che contraddistinguono diversi movimenti sociali e politici dell’età contemporanea si fondano su un approccio “esclusivista” alle identità, con quali ragioni storiche e con quali limiti etici?
2. Identità concettuali. Sotto il profilo cognitivo/epistemologico, si può lavorare a scomporre e poi confrontare insiemi di caratteristiche che definiscono “identità concettuali” di specifici oggetti di studio e ricerca, da confrontare tra loro dentro singoli campi disciplinari o a cavallo tra più discipline (specie viventi, periodi storico-culturali, prodotti tecnologici, idee della fisica, concetti grammaticali e di analisi linguistica, sistemi linguistici, generi letterari o scuole poetiche, unità concettuali delle Scienze della Terra, elementi chimici, sport, pensieri politici e scuole filosofiche… etc.). Le medesime questioni che solleva il punto precedente, si applicano anche a questo, anche se riguardano “campi” del sapere, comunità disciplinari etc. di cui sarà possibile sottolineare che, al pari di ogni altra forma organizzativa umana, conoscono “istituzionalizzazioni”, lotte di potere, “razzismi” e “egemonie”… Non solo, ma questo sviluppo dell’attività si sposa anche con una riflessione di base che può invero sorgere fin dalle elementari circa il fatto che il contro per “somiglianze” e “differenze” è in realtà proprio un modo di descrivere l’attività conoscitiva umana… E, quindi, l’inevitabilità e i limiti dell’approccio “esclusivo” alle identità valgono anche proprio per il modo di procedere della conoscenza umana e della sua trasmissione linguistica.
3. Identità commerciali. Questo laboratorio è anche un eccellente strumento di analisi e decostruzione dell’uso finalizzato alla costruzione di sé e persuasione dei potenziali clienti/acquirenti/fruitori – “target” – da parte di attori che cercano di propagandare i propri marchi, prodotti, servizi, progetti, valori… in questo senso l’attività può essere perfettamente unita a Etichette dei prodotti o altre iniziative didattiche legate al problema del consumo.