Dalla conferenza di Rio a quella di Rio+20 sono passati venti interminabili anni. Un periodo lunghissimo in cui, per la prima volta, il mondo si è sensibilizzato su problemi fino ad allora poco conosciuti, problemi vitali per la sopravvivenza del pianeta e che, col passare degli anni, sono divenuti sempre più realtà.
A poco più di quattro mesi dal’inizio della Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile (UNCSD), denominata Rio+20 appunto, si susseguono gli eventi per la sua preparazione, come la conferenza GO Sustainable, BE Responsable alla quale ho il piacere e la responsabilità di partecipare direttamente in rappresentanza della totalità dei giornalisti italiani di settore. Voglio subito anticipare che la sensazione che si avverte, fin dall’inizio, nel partecipare ai lavori di questa due giorni europea, è che qualcosa di davvero sostanziale stia accadendo. Sembra quasi che siamo arrivati ad un punto di demarcazione lungo la travagliata road map per lo sviluppo del modello di sviluppo sostenibile ventilato dall’ONU. La parola d’ordine? Non più allarmi della comunità scientifica sugli effetti dei cambiamenti climatici, ma la consapevolezza che il fattore ambientale non può essere affrontato separatamente da quello dello sviluppo economico e dello sviluppo sociale. In altri termini si avverte la consapevolezza che rapidamente si stia superando l’attuale modello di sviluppo capitalistico che andrà sostituito, inevitabilmente ed in tempi relativamente brevi, con quello dello sviluppo sostenibile.
Sarà una rivoluzione epocale che, per tanti aspetti, è già in atto e che trasformerà radicalmente il nostro modo di vivere. Queste premesse trovano subito conferma da quanto dichiarato, nell’intervento di apertura, dal dinamico presidente del Comitato europeo economico e sociale (CESE) Staffan Nilsson: “solo attraverso il coinvolgimento diretto delle persone, della società civile, delle organizzazioni al processo di cambiamento globale verso la sostenibilità, si potrà raggiungere a RIO+20un risultato concreto. Bisognerà – continua il presidente – agire radicalmente sulla trasformazione dei nostri stili di vita e sull’individuazione di nuovi modelli economici per traghettare in fretta l’intera comunità internazionale verso il paradigma della green economy”.
La corsa verso nuovi modelli economici che bilancino lo sviluppo sociale con quello della sostenibilità sembrerebbe, secondo Brice Lalonde, coordinatore ONU della conferenza sullo sviluppo sostenibile, un obiettivo condiviso in molte aree del nostro pianeta: “la drammaticità della crisi economica e la consapevolezza dei disastri derivanti dai cambiamenti climatici, sta creando la tendenza alla globalizzazione di questi problemi ed alla sensazione diffusa di cittadinanza mondiale”. Insomma se le guerre impongono, come sempre, una divisione tra i popoli della terra, la percezione della necessità impellente di uno sviluppo sostenibile sembrerebbe unirli in modo trasversale. Le strategie per raggiungere questi obiettivi, sempre secondo il coordinatore ONU, sono sintetizzabili in tre principali elementi: L’equità sociale, intesa come superamento della povertà e della fame in ogni regione del pianeta, la tutela ambientale, rendendo più efficienti le risorse disponibili ed i cosiddetti servizi erogati dalla natura, e la governance immaginata come nuovo strumento di partecipazione sociale e democratica alle problematiche vicine alla vita di tutti, come ad esempio la tutela del bene acqua. Un aspetto vitale in questo quadro, sempre secondo Lalonde, è quello della sostenibilità energetica del pianeta.
“Energia sostenibile per tutti” è qualcosa di più di uno slogan che l’ONU sta fortemente sostenendo con due obiettivi ambiziosissimi da attuare entro due anni: il raddoppio dell’efficienza energetica ed il raddoppio delle energie rinnovabili. Un quadro più positivo è stato posto da Janez Potocnik, Commissario all’ambiente della Comunità europea. “Dobbiamo evidenziare qualche progresso in questi anni, come l’accesso ad un’alimentazione minima di qualche centinaia di migliaia di persone, ma la meta è ancora molto lontana. Rimangono aperte questioni immani come: la gestione dei cambiamenti climatici, la perdita della biodiversità, la progressiva acidità degli oceani, la scarsità delle risorse idriche”. Lo scenario diventa ancora più serio se all’attuale trend di evoluzione di queste problematiche sovrapponiamo un’altra tendenza: quella dell’aumento demografico esponenziale del nostro pianeta. “La soluzione è – sempre secondo Potocnik – nell’adozione di nuovi modelli economici legati alla green economy. Questi modelli perseguano, contemporaneamente ed in modo equilibrato, gli obiettivi di uno sviluppo economico, inteso come aumento di posti di lavoro e ridistribuzione delle risorse, e della tutela ambientale. Questo percorso va condiviso anche con i paesi, emergenti che devono essere aiutati, dalle economie industrializzate, a rendere sostenibile il loro sviluppo senza penalizzazioni laceranti. L’Europa, in questo senso, sta impegnandosi concretamente aumentando del 17% l’aiuto stanziato per mantenere sostenibili le economie di questi paesi”.
Ben più realistico l’intervento del direttore esecutivo del Forum degli Stakeholder Felix Dodds, che denuncia come siano passati inutilmente questi vent’anni tra le due conferenze. Nella prima, infatti, già erano stati evidenziati in modo inequivocabile i problemi della mancata sostenibilità e quali fossero gli effetti. E se prima si trattava di predire l’arrivo di una situazione, oggi gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Bisogna, sempre secondo Dodds, superare l’attuale equazione: privatizzazione dei guadagni e socializzazione delle perdite. Sono numerose le proposte che preludono ai lavori di RIO+20, alcune anche molto bizzarre come la creazione di appositi Bond della Terra (investimenti dei privati sulla sostenibilità del territorio). Ma i riferimenti principali emersi dal dibattito sono:
1. creare nuovi rating a valenza ambientale per gli investimenti,
2. promuovere una Convenzione internazionale che indichi, attraverso appositi indici, il livello di sostenibilità delle aziende esistenti sul mercato,
3. sviluppare un sistema globale di monitoraggio ambientale,
4. superare le divergenze della comunità scientifica internazionale attraverso la costituzione di un Panel scientifico globale.
I lavori della Conferenza sono continuati con dibattiti di approfondimento nell’ambito di commissioni tematiche. E anche se tanti temi sembrano ancora estranei a questo articolatissimo dibattito sulla road map della sostenibilità, come l’urgenza di azioni incisive, il trasferimento del modello di sviluppo agricolo intensivo a quello sostenibile e il “ridimensionamento” del settore finanziario e bancario ai modelli sostenibili, rimane confermata la sensazione che avevamo all’inizio dei lavori: un cambiamento epocale ci sta investendo.
Possiamo anche discutere per altri vent’anni, ma non potremo evitare l’impatto con questa rivoluzione. Mi torna allora in mente il motto, bisbigliato e condiviso in tante lingue, che sintetizza bene l’atmosfera di questo meeting “Il miglior modo di prevedere il futuro è crearlo”. Go Sustainable, Be Responsible.